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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2011 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 28 aprile 2011 alle ore 06:38.

La spinta delle banche italiane a scambiare credito con quote di capitale industriale viene anche confermata da un altro indicatore elaborato dal Sole 24 Ore sui dati della Bce. A fine 2010, rispetto al totale degli asset posseduti dalle banche italiane le azioni in imprese non finanziarie erano pari al 2,2 per cento. Erano il 2% nel dicembre del 2008 e l'1,9% a fine 2000. Una quota in costante crescita. Invece, lo stesso indicatore calcolato su tutti gli istituti europei valeva il 3% dieci anni fa e il 2,4% adesso. In costante riduzione. «Le banche italiane - riflette Nerio Nesi, banchiere di lungo corso ed ex ministro dei Lavori pubblici - comprano tutte queste quote per una sorta di spirito autoconservativo. Temono di non rientrare. Preferiscono immobilizzare e alla fine rendono più rigida la loro stessa struttura. La sfiducia permea la loro attività e l'impegno delle imprese».
In fondo, lo stesso Federico Ghizzoni, amministratore delegato di una Unicredit sempre più votata alla missione di banca di sistema, ha parlato (si veda Il Sole 24 Ore del 19 aprile) della necessità, per il Paese, di ritrovare lo spirito degli anni della crescita. «Nei pranzi in Banca d'Italia con Paolo Baffi e con Guido Carli - dice Nesi, presidente della Banca Nazionale del Lavoro dal 1978 al 1989 - io, Lucio Rondelli del Credito Italiano e Francesco Cingano della Comit non avvertivamo tutto questo pessimismo verso le sorti della nostra economia». Il clima e la psicologia collettiva sono importanti. «Le banche stabilizzano il sistema industriale comprando quote e rifinanziando i crediti già concessi - osserva l'economista Ferri - ma non si può negare che la crescita vera si faccia con le operazioni sul capitale e sugli investimenti». Per un rafforzamento della delicata fisiologia industriale del nostro sistema produttivo, è bene che esista una sorta di reciprocità. «L'imprenditore deve sviluppare un rapporto più maturo con le banche impegnandosi anche sul versante degli aumenti di capitale - nota Boccia - ma allo stesso tempo la banca azionista è una patologia accettabile soltanto se temporanea». Più credito da parte delle banche, ma usato meglio dalle imprese.
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