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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2011 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 29 agosto 2011 alle ore 06:39.

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Il giorno della vita in cui sono stato più fiero di essere italiano coincide con quello in cui ho capito di esserlo: è il giorno in cui - bambino - mi sono sentito per la prima volta un bambino italiano. Il giorno? Più esattamente, la notte. La notte fra il 17 e il 18 giugno 1970. La notte dello stadio Azteca di Città del Messico, semifinale dei campionati mondiali di calcio, coppa Rimet. La notte di Italia-Germania 4-3.

Due mesi e mezzo dopo, il 2 settembre, avrei compiuto sette anni.
Per i mondiali mio padre aveva preso in affitto una televisione. Non che ai miei genitori mancassero i soldi per comprarsela, una tv. Volendo ci sarebbero riusciti, magari a rate, con i loro stipendi da dipendenti statali. Il problema era un altro, un'altra la ragione che privava me e i miei fratelli - diversamente da tutti i nostri compagni di scuola, nessuno escluso - dello Zecchino d'Oro e della Tv dei Ragazzi, di Carosello e di Canzonissima. Da buoni intellettuali di sinistra, i miei consideravano la televisione un'arma di rimbecillimento di massa. The idiot box la chiamava mio padre, memore forse del campus di Princeton e dei suoi amici di laggiù, spocchiosi genietti della fisica cresciuti alla scuola di Einstein.

Ma per i mondiali di calcio, evidentemente, la scatola da idioti non era una cosa troppo idiota, poteva ben meritare venti giorni d'affitto. L'anno prima, neppure lo sbarco degli astronauti americani sulla Luna aveva costituito ragione sufficiente per far entrare in casa una tv: la notte tra il 20 e il 21 luglio 1969, i miei erano andati in giro per Genova alla ricerca di un bar aperto, per assistere via satellite al piccolo passo di Armstrong, grande passo per l'umanità. Ma vuoi mettere un Apollo 11 con una coppa Rimet? Nel giugno 1970 l'amministrazione casalinga aveva rilasciato alla idiot box, se non proprio un certificato di cittadinanza, almeno un permesso di soggiorno. Mancava il mobile su cui posarla? Tranquilli. Il tavolo vecchio della cucina, quello in formica gialla, era stato recuperato dal garage e sistemato in salotto, ideale allo scopo.

Ricordo come fosse ieri la sveglia di mezzanotte. Mia madre che scuote me e mio fratello (mia sorella gemella dovette aspettare, temo, una futura occasione per scoprirsi bambina italiana), la lotta contro il sonno nei primi minuti di partita, poi - presto - il principio di tutto: il gol di Boninsegna, gli abbracci sul divano, la gioia dei vicini attraverso le finestre lasciate aperte. Più appannato il ricordo dell'ora e mezza successiva, ma nitido, e ancora crudele, il ricordo del gol di Schnellinger al novantaduesimo.
Il resto fa parte integrante della nostra memoria collettiva. I tempi supplementari. Il 2-1 tedesco dell'avversario più temuto, il rapinatore d'area Gerd Müller. Il pareggio italiano grazie al marcatore più improbabile, Tarcisio Burgnich. Il vantaggio degli azzurri con un sinistro chirurgico di Gigi Riva.

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