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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2011 alle ore 11:55.
L'ultima modifica è del 10 settembre 2011 alle ore 11:57.

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L'orgoglio di essere italiano - In Cina il modello dell'antica Roma (Illustrazione di Antonello Silverini)L'orgoglio di essere italiano - In Cina il modello dell'antica Roma (Illustrazione di Antonello Silverini)

Credevo fosse pazzo, o mi prendesse in giro. Quando Xu Guodong, a Pechino all'inizio del 1988, mi disse che lui stava studiando diritto romano e voleva studiare italiano, me lo feci ripetere due volte, pensavo di non avere capito bene. «Perché», gli chiesi. e senza aspettare la risposta aggiunsi: «Sei sicuro? A che serve?».
Eravamo alla Scuola superiore dell'Accademia delle scienze sociali cinesi, ero il primo studente straniero mai ammesso lì. Per i miei colleghi di lì, scelti uno a uno, per diventare la futura classe dirigente del Paese, ero una curiosità quasi da circo. Tanto più perché ero italiano ma venivo dall'università di Londra, avevo studiato cinese ma lo parlavo a fatica mentre conoscevo discretamente la mia strada tra i libri antichi e il cinese classico, su cui avevo faticato per anni.
Allora il cinese classico in Cina non lo studiava quasi nessuno. Pochissimi dei miei compagni avevano avuto contatto con degli stranieri ed ero una specie di mascotte involontaria: «Tutti gli stranieri erano come me?» chiedevano, intendendo che ero bizzarro.

Dal canto mio, pensavo di essere originale e certamente poco italiano. Cresciuto negli anni 60 e 70, quando l'idea di patria pareva legata a quella di fascismo, credevo che il massimo della vita fosse uscire dai confini e cercare di prendere un'altra identità. Per questo la dichiarazione di Xu Guodong fu uno schiaffo in faccia. Mentre io cercavo di scappare dall'Italia c'era un cinese che voleva andarci e per di più era interessato a studiare una parte a me assolutamente sconosciuta della mia eredità storica.
Xu, infatti, mi spiegò che la Cina voleva riformare il suo sistema legale e quindi voleva studiare il diritto occidentale, ereditato da quello romano. Lui così avrebbe imparato latino, diceva, ma prima sarebbe dovuto passare dall'italiano che era più facile e strumento di apprendimento della lingua antica. L'Italia insomma era la base della cultura dell'Occidente e per i cinesi, quasi religiosamente storicisti, la storia romana era la base di tutta quella occidentale.

Per me fu un tuffo nel passato e un capovolgimento di mille ragioni e motivi. L'Italia di cui non capivo l'importanza in patria cominciava a prendere senso a Pechino in quel tempio di formazione. Tra quegli studenti che avrebbero dovuto guidare la Cina nel futuro, una parte si proiettava verso l'America e le ricette quasi immediate che avrebbe potuto offrire al Paese, ma un'altra andava più in là, più in fondo.
Pensavo però che Xu con la sua attenzione per l'Italia fosse un'eccezione, una bizzarria, quasi una specie di mio riflesso in quel mondo. Ma solo qualche giorno dopo un altro studente, Lu Xiang, mi chiese se, visto che avevo studiato latino (si era sparsa la voce), mi poteva fare una domanda.

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