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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2011 alle ore 13:24.
L'ultima modifica è del 18 settembre 2011 alle ore 13:27.

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Insomma, per quanto aggressivo, un prelievo straordinario sulla ricchezza non potrebbe abbattere il debito molto sotto il 90% del Pil. Ma a quei livelli, l'Italia resterebbe un Paese a rischio. Quando è cominciata la crisi, nel 2010, il debito pubblico in Spagna era al 60% del Pil, e in Portogallo poco sopra il 90%. Il rischio diventerebbe certezza se si pensa agli effetti recessivi e sulla fiducia dei cittadini. Già gli italiani hanno poco rispetto per le istituzioni nazionali. Un prelievo a sorpresa di queste proporzioni, anziché risolvere la situazione, potrebbe scatenerebbe una spirale di sfiducia, recriminazioni, fuga verso l'economia sommersa o verso l'estero, dagli esiti imprevedibili e da cui sarebbe difficile riprendersi.

Vi è anche un secondo modo per concepire un'imposta patrimoniale, tuttavia: come un prelievo regolare e con un'aliquota modesta, nell'ambito di un progetto di riforme incentrato sul rilancio della crescita e sulla legalità. In questa seconda concezione, l'imposta patrimoniale non avrebbe lo scopo principale di fare cassa per abbattere il debito, bensì di creare consenso politico intorno a un progetto complessivo di riforma dello Stato e dell'economia. Per rilanciare lo sviluppo, occorre una profonda trasformazione dell'economia e della pubblica amministrazione, e alcune categorie devono rinunciare ai loro privilegi.

Un'imposta sulla ricchezza consentirebbe di spalmare i sacrifici su chi più di altri se li può permettere. Inoltre, un prelievo annuale sui patrimoni si accompagnerebbe naturalmente a una riforma fiscale che riduca i contributi sociali, e porrebbe le basi per un progetto di lotta all'evasione e all'economia sommersa imperniato sulle variazioni della ricchezza e non solo sugli accertamenti dei redditi.
Vista la consistenza della ricchezza italiana, anche un'aliquota modesta (ad esempio il cinque per mille) raccoglierebbe risorse rilevanti, senza creare problemi di liquidità e senza effetti recessivi. Purché però l'aliquota rimanga contenuta. In passato altri Paesi hanno introdotto imposte patrimoniali con aliquote progressive che crescevano anche molto rapidamente. Il risultato è stato la fuga dei capitali all'estero, o l'elusione fiscale. La Svezia, ad esempio, ha recentemente abolito un'imposta sulla ricchezza che arrivava fino al 2,5%, perché il gettito era diventato trascurabile, e l'imposta ricadeva soprattutto sulle classi medie anziché sui grandi patrimoni.

Insomma, è inutile illuderci: non è la patrimoniale che ci farà uscire da questa crisi. Anzi, se abusata la patrimoniale aprirebbe incognite ancora più gravi. Tutt'al più la tassazione della ricchezza può facilitare l'adozione di altre riforme, quelle che sono davvero cruciali per ridare prospettive economiche al nostro Paese. L'Italia può uscire da questa crisi solo se torna a crescere. Ma è di come raggiungere questo obiettivo che dobbiamo discutere, non del se e quanto tassare i risparmi delle famiglie italiane.

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