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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2011 alle ore 08:06.
L'ultima modifica è del 16 novembre 2011 alle ore 07:33.

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Alberto Micalizzi (Imagoeconomica)Alberto Micalizzi (Imagoeconomica)

Quello che ha però sempre ripetuto è che il mezzo miliardo di dollari c'è ancora. Ed è interamente parcheggiato in obbligazioni di un unico emittente da lui comprate.

Ma sulla base di una sua inchiesta Il Sole 24 Ore ha motivo di ritenere che quei bond siano pura carta straccia.
In realtà non occorre essere Sherlock Holmes per giungere a questa conclusione. Basta ricostruire l'impianto dell'emissione, informarsi sui suoi vari protagonisti e non avere un qualche interesse a evitare che si stabilisca una volta per tutte che i bond sono un bidone.
Pur dichiarandosi consapevole che le obbligazioni «non valgono nulla», un investitore ha candidamente ammesso la speranza che quei bond vengano in qualche modo rifilati a qualcun altro. In modo da poter rientrare di almeno parte dei capitali. Per questo gli investitori preferiscono che non si dichiari ufficialmente che sono privi di valore.

Le banche creditrici hanno invece l'interesse principale di proteggere la propria reputazione. E se venisse formalmente ratificato il fatto che hanno fornito leva finanziaria per almeno 175 milioni di dollari a un signore che poi ha comprato carta straccia, la loro reputazione ne risentirebbe non poco. Quindi preferiscono ingoiare il rospo della perdita.
E i liquidatori? Che interesse possono avere a prolungare l'agonia del fondo non dichiarando apertamente quello che pensano sui bond? Il motivo primario è che si sono fatti avanti svariati potenziali acquirenti (nella seconda puntata vedremo anche a questo), e quindi non se la sentono di rinunciare a vendere l'unico bene con il quale potrebbero risarcire, almeno parzialmente, gli investitori. E poi, seppur del tutto insufficienti per far fronte alle richieste di rimborso, i contanti rimasti nei conti bancari di Dynamic Decisions sono finora bastati a pagare le loro parcelle.

E certamente non ha interesse che i bond siano dichiarati carta straccia Alberto Micalizzi, al quale nessuno ha ancora chiesto il conto. Neppure il Serious Fraud Office inglese, che ha aperto un'inchiesta sulla vicenda e l'ha frettolosamente chiusa senza neppure contattare investitori o liquidatori.
Veniamo ai bond. Basta contattare Cusip Global Service (Cgs) a New York per scoprire che il Cusip number, o contrassegno numerico, dell'obbligazione Asseterra non è più attivo. «È stato ritirato nel settembre 2008», ci dice Gerard Faulkner, direttore operativo di Cgs. Che aggiunge: «Un bond con un Cusip ritirato probabilmente non vale più niente».

Andiamo avanti: il cosiddetto issuer, ovvero l'emittente, si chiama Asseterra ed è una scatola vuota del Nevada con sede in un'abitazione privata nel deserto dell'Arizona. A costituirla, dirigerla e amministrarla è stato un tale David Spargo, cittadino americano sulla cui testa pende un mandato d'arresto federale legato ad altri bond farlocchi (un avvocato dei suoi creditori li ha definiti «la prima generazione dei bond Asseterra»).

Aggiornamenti del 13 marzo 2018 e del 13 luglio 2022, qui riepilogati l’8 settembre 2023:
1) Il procedimento penale per truffa aggravata, nei confronti di Alberto Micalizzi, avente ad oggetto la gestione dei fondi inglesi Dynamic Decisions, già pendente davanti alla Procura di Milano, che ne aveva chiesto il rinvio a giudizio, si è definito con sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, pronunciata in data 7 novembre 2017 dal Gup, Dott. Fanales.
2) In data 21 aprile 2022 la Corte di Cassazione ha prosciolto definitivamente il dott. Alberto Micalizzi anche dall’accusa residua di associazione per delinquere.

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