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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2012 alle ore 07:10.
L'ultima modifica è del 07 marzo 2012 alle ore 09:06.

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Esistono altri fattori che attengono alle dinamiche demografiche, all'espansione del benessere in strati sempre più ampi della popolazione, alle condizioni del mercato del lavoro, alla disponibilità di materie prime, il cui peso è in quelle realtà così rilevante da rendere secondaria l'iniziativa politica, che ne è al traino.
Restiamo in Italia. Qui non operano elementi così deflagranti e può ipotizzarsi l'efficacia di una politica attiva che sostenga lo sviluppo con l'incentivazione di processi culturali di cambiamento e il rafforzamento della legalità. Vi sono regioni caratterizzate da sacche di arretratezza e sottosviluppo, che lasciano spazio a forme di sottocultura antistatalista di tipo mafioso, in cui si radicano corruzione e malaffare.
Altre regioni, invece, hanno conosciuto una fase di espansione che le pone ai vertici dell'economia europea e mondiale. Come testimoniano le cronache quotidiane, anch'esse non sono immuni dai fenomeni criminali, nonostante abbiano reti di infrastrutture telematiche, di comunicazione e di servizi tra le più avanzate.
Cultura e sviluppo sono condizioni indispensabili per migliorare la qualità della vita delle persone, individualmente, e di un popolo, nel suo complesso, ma non sembrano sufficienti a salvaguardarci dal "pizzo".
Per quello c'è la legge. E a monte della legge c'è il patto sociale tra cittadini e tra cittadino e Stato, ossia quel programma di regole condivise, che passando attraverso gli organi democratici (esecutivo, legislativo e giudiziario), assume la forma di corpo di norme positive.
Troppi anni di libertarismo antistatalista, di ineguaglianze, di abusi da parte di chi, in posizione di governo, ha amministrato quelle regole, hanno aperto una ferita nel patto su cui si fonda lo Stato-Comunità.
È anche su questo patto violato e sulle prospettive del Paese che oggi il mondo della cultura è chiamato a interrogarsi.
Sulla questione della crisi della politica italiana, all'intellettuale si richiede non solo di lanciare appelli, in cui chiama altri a fare, ma di essere egli stesso promotore del cambiamento, sostenendo le ragioni di un'urgente rifondazione in Italia del modo di essere governanti, ma anche cittadini.
Donato Giovanni Cafagna
Capo di gabinetto Prefettura di Milano

Ringrazio Giovanni Donato Carfagna per l'utile e pertinente commento a un articolo in cui citavo alcune correlazioni statisticamente significative tra i livelli di conoscenza diffusi in una società e la qualità della vita civile, inclusi più bassi livelli di corruzione, un più efficiente funzionamento dello stato di diritto e di conseguenza una maggiore libertà economica. Vorrei innanzitutto tranquillizzare il Capo di gabinetto che non mi limito a lanciare appelli, ma faccio anche alcune centinaia di ore di lezione e di esami ogni anno alla mia università (Roma Sapienza). In questo modo cerco di trasmettere ai giovani dei modi di ragionare che aiutino la loro mente a capire perché è meglio essere governati dalla legge, cioè da una Costituzione condivisa che garantisce le libertà fondamentali, inclusa la libertà di passeggiare per strada senza essere scippati o di determinare il costo di un progetto senza prevedere la mazzetta per il politico, piuttosto che da regole basate su gerarchie sociali dove operano minacce e ricatti. Con più spazio si potrebbe argomentare che serve una maturazione psicologica individuale, che è favorita dall'apprendimento disciplinato, cioè scolastico, di alcune nozioni e metodi, per capire e accettare che una società funziona meglio e che si è più garantiti se si rispetta un insieme di leggi scritte che valgono per tutti, piuttosto che se ci si affida a qualcuno (singolo o gruppi) che promette di procurare vantaggi personali. Nondimeno, questa capacità e consapevolezza rischia poi di indebolirsi se non continua a essere stimolata da esperienze che gratifichino quel modo particolare di funzionare di una mente acculturata. L'osservazione che la cultura non sarebbe un fattore così importante per il fatto che ci sono Paesi che crescono economicamente nonostante la qualità della vita civile lasci a desiderare, va detto che, in realtà, i Paesi che hanno stabilizzato la loro capacità di crescita economica, anche in Oriente, rientrano tra quelli che hanno avuto anche un'evoluzione del sistema istituzionale in senso liberaldemocratico. Naturalmente ci possono essere altri fattori in grado di favorire la crescita economica, ma forse bisognerebbe ragionare su esempi che traguardano tempi lunghi per capire quanto i diversi possano garantire più o meno continuità di crescita , diritti, eguaglianza e convivenza civile. Per esempio i paesi nordeuropei. Per quanto riguarda l'Italia, forse il problema è proprio la manutenzione delle conoscenze acquisite dopo il periodo scolastico, per cui a causa di scarsi investimenti in cultura per cittadini adulti, si è determinato il fatto che tra i paesi sviluppati abbiamo i più alti indici di analfabetismo funzionale, cioè di incapacità di capire e usare le regole per capire e affrontare i problemi in una società moderna. Solo il 20% della popolazione in Italia ha questa capacità, contro il 50% di Stati Uniti e Svizzera o il 64% della Norvegia.

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