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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2012 alle ore 10:19.
L'ultima modifica è del 16 giugno 2012 alle ore 10:40.

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Il cancelliere tedesco Konrad Adenauer e il ministro degli Esteri francese Robert Schuman in un incontro a ParigiIl cancelliere tedesco Konrad Adenauer e il ministro degli Esteri francese Robert Schuman in un incontro a Parigi

Nel momento in cui l'edificio europeo mostra crepe così profonde da metterne a repentaglio la stabilità, mi espongo volentieri alla critica di avanzare argomenti altre volte spesi. Per le brevi riflessioni che seguono avverto, infatti, la necessità di muovere riandando alle scaturigini del processo di unificazione europea. In quei pressi vi è anche la fonte cui ho attinto la fede europeista, abbracciata negli anni giovanili, praticata con convinzione crescente, e con crescente cognizione di causa, via via che aumentavano le responsabilità istituzionali delle quali sono stato investito.

Dieci anni or sono, in occasione del conferimento del premio Carlo Magno all'euro, volli sintetizzare le motivazioni ideali del mio impegno per la costituzione dell'Unione europea, di cui la moneta unica rappresentava una pietra miliare.

Parlai allora di «una generazione nata all'indomani della Prima Guerra Mondiale; una generazione che nel pieno della giovinezza è stata stravolta dalla Seconda guerra mondiale; una generazione che ha provato, sulla propria carne, l'insensatezza di contrapporre con le armi in pugno giovani contro giovani; di distruggere il patrimonio di una comune cultura millenaria; di annullare risorse reali e spirituali che, con l'esaltazione della vita e dei suoi valori, potevano essere fonte di benessere per tutti i popoli dell'Europa e per l'intero mondo».

Quelle motivazioni, rivestite di nuovi significati, si rafforzarono nel secondo dopoguerra, allorché l'Europa, divisa da contrapposizioni ideologiche e dallo spirito di contesa delle due superpotenze vincitrici, doveva trovare una risposta efficace alla minaccia della distruzione atomica.

La realizzazione dell'Unione europea è un processo strutturalmente non lineare - caratterizzato da una alternanza di accelerazioni e di fasi stallo - perché esso va a incidere su Stati e su popolazioni che vantano una lunga storia, ricca di cultura e di tradizioni consolidate, con ordinamenti e istituzioni profondamente diversi.

La costituzione della moneta unica e della sua Banca centrale ha impresso al processo unitario un'indubbia accelerazione, anche in risposta al fenomeno della globalizzazione dei mercati e all'affacciarsi sulla scena mondiale di nuove e importanti economie - quelle della Cina, dell'India, del Brasile - con popolazioni che sono multipli rilevanti di quella del Continente europeo. Si tratta di economie la cui capacità di produzione, avvalendosi della più avanzata tecnologia, può rendere marginale quella di Paesi di antica tradizione industriale.

Gli uomini di governo e i tecnici che si impegnarono nella realizzazione del progetto della moneta unica non ignoravano le riserve di coloro che ritenevano la tenuta dell'euro soggetta alle insidie delle differenze tra i Paesi aderenti; di chi temeva che i più deboli tra questi sarebbero stati schiacciati dai più forti; di chi paventava il contagio dell'instabilità dalle economie più fragili a quelle più robuste. Essi erano ben consapevoli che il sistema avrebbe retto a condizione che la sua architettura fosse integrata, nel breve termine, dal governo unitario dell'economia, con le implicazioni e le scelte istituzionali che questo richiede: un bilancio comune, una Banca centrale dotata di tutti i poteri e le prerogative proprie di tali organismi.

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