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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2012 alle ore 09:52.

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Nebbia in Val Padana anche per le consulenze esterne e quelle legali.

Le delibere (e i costi) delle consulenze legali richieste dall'amministrazione sono addirittura secretate. «Qual è il motivo per cui chi paga (il contribuente regionale) non ha diritto di sapere chi viene incaricato e quanto viene pagato con i propri denari?» conclude il segretario generale dei dirigenti regionali. Piglio da Ombudsman, al quale il governatore Errani, o chi per lui, si è sempre ben guardato dal replicare. Zitti. Più muti dei calabresi o dei siciliani, per i quali la parola migliore è quella che non si è mai pronunciata. È la linea ascensionale dei regioburocrati, che dal sud ha via via colonizzato il nord.

Un'attitudine al silenzio e ai favoritismi confermata dalla storia apparentemente marginale di tre direttori generali (all'Agricoltura, all'Ambiente e alla Programmazione territoriale) con contratto a termine assunti a tempo indeterminato solo per un giorno. In 24 ore hanno intascato una ricca buonuscita (oltre 200mila euro in totale) per risoluzione consensuale del rapporto, passaggio impossibile per chi ha un incarico a tempo, e la pensione ai massimi livelli. Correva l'anno 2006, e a organizzare l'operazione fu il direttore generale di allora ed ex sindacalista della Cisl Gaudenzio Garavini, lo stesso coinvolto nell'affaire Del Bono, ex vice di Errani in Regione e sindaco dimissionario di Bologna per il Cinziagate, dal nome dalla sua segretaria in consiglio regionale poi trasferita con qualche privilegio economico al Cup.

Sui tre direttori generali Magarò fa fuoco e fiamme. Promette di investire della questione sia la Corte dei conti, sia la Procura della Repubblica. Forse entrambi troppo affaccendati. Una decina di mesi fa un ufficiale delle Fiamme gialle ha convocato finalmente il segretario dei dirigenti per rivolgergli alcune domande.
Quando i tecnocrati tentano di evitare i pasticci, come l'abuso della chiamata diretta, prendono delle topiche colossali. Il gran ciambellano della Regione, il direttore generale all'Organizzazione Lorenzo Broccoli, decide che i tempi sono maturi per far diventare dirigente Stefano Rotundo.

Per accelerare i tempi, Rotundo partecipa e arriva terzo a un concorso per due posti alla Ausl di Forlì. Improvvisamente, l'azienda sanitaria si accorge di aver bisogno di un terzo dirigente, Rotundo, appunto, che rimane in servizio per le solite 24 ore. Il suo primo giorno d'incarico viene richiamato a Bologna per ricoprire una posizione vacante presso la direzione generale sanità. Chi scrive materialmente il profilo in palio che occuperà di lì a poco? Lo stesso Rotundo, che guarda caso è l'ex segretario del Pd di Anzola dell'Emilia, ex assessore alle Finanze dello stesso paese e bersaniano di ferro. Magarò le chiama "nomine predestinate". E grottescamente ha lanciato l'idea di depositare il nome del vincitore nello studio di un notaio, sicuro di azzeccarli tutti.

Errani e i suoi se ne infischiano dei rilievi formali e sostanziali. Il governatore e la sua squadra si muovono come se fossero l'amministratore delegato e i consiglieri di una Spa privata. Ci sono grappoli di violazioni etiche e regolamentari. Alle quali i dirigenti replicano con lettere infuriate: c'è la questione del personale comandato dall'esterno e la totale mancanza di trasparenza sulle spese delle 27 società partecipate, di cui solo una ha distribuito utili nel 2011. Sottoscrivono pure i giudici contabili, che nella deliberazione del cinque novembre ammettono di aver lavorato «sui dati resi disponibili relativi in totale a 20 società». E le altre sette? Sparite con la zavorra di debiti.

I conti non possono che risentirne. Dopo Abruzzo e Liguria, l'Emilia registra l'incremento più alto nel triennio 2008-2010 per la spesa del personale, mentre si staglia al primo posto dopo le Marche per i costi dei direttori generali. Soluzione: dimezzare il valore dei buoni pasto ai dipendenti e premiare con 400mila euro i dieci direttori generali, tutti giudicati "eccellenti" da Errani (almeno tre di loro sono inquisiti dalla magistratura). Un accanimento sui più deboli per compensare i privilegi elargiti ai fedelissimi che traduce plasticamente la parabola bolscevica del Pd emiliano.

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