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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2012 alle ore 11:33.
E quando la persecuzione si abbatte su eretici e gruppi minoritari designati, anche i membri delle maggioranze privilegiate imparano la lezione. Ogni singolo individuo, nella riservatezza delle sue riflessioni personali, prenderà in considerazione le possibili conseguenze del lasciar vagare pensieri ribelli lungo strade proibite. È lo stesso Islam che finisce per rimanerne vittima: lo studioso liberale Abdullahi Ahmed An-Na'im osserva che se non hai la possibilità di abbandonare la tua religione non puoi apprezzare nemmeno la possibilità di abbracciarla liberamente. In circostanze come queste, chi oserà alzarsi in piedi per contrastare la marcia degli islamisti militanti? In sempre più Paesi, la maggioranza assoluta della popolazione guarda con disdegno e orrore ai paladini dell'Islam totalitario. Ma quella stessa maggioranza ha tutte le ragioni per tenere per sé le proprie opinioni: e chi tiene per sé le proprie opinioni dopo un po', di solito, non sa più quali siano. E in certi casi, come abbiamo imparato, la maggioranza si schiera dalla parte dei radicali, lasciando la responsabilità di fronteggiare la loro avanzata nelle mani di minoranze drammaticamente isolate.
I radicali a volte tengono d'occhio quello che succede in altre parti del mondo, un orientamento globale che aggiunge elementi nuovi alla questione. I leader dell'Islam di una volta generalmente non si curavano del rispetto della shari‘a in regioni del mondo non musulmane, e neanche i radicali: almeno fino a poco tempo fa. L'islamismo nella sua forma moderna e riconoscibile è nato negli anni 20 e 30 con la fondazione dei Fratelli musulmani in Egitto e di una manciata di movimenti gemelli in altri Paesi, e gli islamisti di quell'epoca sognavano più che altro di risuscitare l'antico califfato sacro nelle loro zone storiche di insediamento. L'idea non solo di risuscitare il califfato ma di espanderlo verso il resto del mondo era più che altro un retropensiero millenaristico, menzionabile ma, per così dire, non praticabile.
La nuova formulazione, più espansiva, dell'ideologia islamista, emerse solo con l'affaire Rushdie, nel 1988-1989, quando l'ayatollah Khomeini e altri leader giudicarono che il castigo fisico per l'atto satanico di scrivere e pubblicare I versi satanici dovesse essere impartito anche a chi pubblicava, traduceva e vendeva il libro in ogni parte del mondo, fino alla California (dove ci fu un incendio doloso) e al Giappone (dove ci fu un omicidio). L'era dell'l'affaire Rushdie non si è ancora conclusa. Marshall e Shea riassumono alcune delle sue perduranti manifestazioni: l'omicidio del regista olandese Theo Van Gogh in una strada di Amsterdam nel 2004; la reazione a una dozzina di vignette satiriche contro il terrorismo islamico pubblicate in Danimarca nel 2005, che generò dimostrazioni di massa, rivolte e attacchi incendiari per un bilancio complessivo di 241 vittime in tutto il mondo; i ripetuti tentativi di assassinare il vignettista danese Kurt Westergaard, autore della più citata e memorabile di quelle vignette (quella in cui si vede Maometto con una bomba infilata nel turbante), con arresti di aspiranti assassini in posti lontanissimi dalla Danimarca come Chicago; la reazione al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, in Germania, nel 2006, che provocò l'uccisione di fedeli cristiani in Iraq e in Somalia e attentati dinamitardi e sparatorie contro centri cristiani a Gaza e in Cisgiordania.
E ancora: la reazione a una vignetta sul profeta Maometto disegnata dall'artista e teorico dell'arte Lars Vilks, svedese, che ha portato a un piano per assassinarlo negli Stati Uniti (che includeva, tra gli autori, anche "Jihad Jane", la jihadista americana); la reazione a un film del politico di destra olandese Geert Wilders (come sottolineano Marshall e Shea, una delle poche persone, fra tutte quelle coinvolte in queste faccende, a manifestare realmente un'assoluta ostilità nei confronti dell'islam), che ha portato all'uccisione di un soldato olandese in Afghanistan; la reazione a un romanzo sentimentale della scrittrice americana Sherry Jones su una delle mogli di Maometto, che ha portato all'arresto di tre uomini che avevano tentato di appiccare il fuoco alla sede della casa editrice inglese (dopo che la Random House, negli Stati Uniti, aveva già fatto marcia indietro e scelto di non pubblicare il libro); la condanna di un uomo che aveva minacciato gli autori della serie televisiva South Park, anche se questi ultimi avevano deciso di recedere dal loro progetto di raffigurare Maometto in costume da orso; il pestaggio, a Oslo, di Kadra Noor, una femminista somalo-norvegese. E via discorrendo (ho limitato gli esempi ai casi di uccisioni o ferimenti di persone o arresti di sospetti terroristi e aggressori).
Casi di manifestazioni intellettuali o artistiche cancellate senza che fossero avvenute violenze o arresti sono diventati abbastanza comuni: la polizia olandese che ha raschiato via un murales contro l'omicidio di Van Gogh ad Amsterdam, la Whitechapel Art Gallery di Londra che ha rimosso alcune opere nel 2006, la Tate Gallery che ha cancellato una mostra, l'annullamento a Ginevra, nel 1993, di una rappresentazione della commedia di Voltaire Maometto ossia il fanatismo (seguito, una dozzina di anni più tardi, da una piccola rivolta quando la commedia di Voltaire è stata rappresentata in Francia), la rimozione delle vignette da un colto saggio sul caso delle vignette danesi pubblicato dalla Yale University Press, la cancellazione di un romanzo giallo tedesco sui delitti d'onore islamici nel 2009, la vignettista Molly Norris, del Seattle Weekly, che ha dovuto entrare in clandestinità dopo essere stata minacciata, la decisione di 800 quotidiani statunitensi di non pubblicare una vignetta di Wiley Miller. E così via. Le intimidazioni più significative naturalmente hanno colpito artisti e personaggi pubblici europei musulmani o di origine musulmana: il vescovo anglicano Michael Nazir-Ali, che si è convertito al cristianesimo; il coraggioso e moralmente scrupoloso giornalista italo-egiziano Magdi Allam, anche lui convertito (per mano nientemeno che del papa, tanto che ha preso come secondo nome Cristiano); la scrittrice e attivista Ayaan Hirsi Ali in Olanda, finché non ha lasciato il Paese; Necla Kelek, una femminista tedesca di origine turca; Ekin Deligöz, esponente politica dei Verdi tedeschi, anche lei di origine turca; Souad Sbai, la presidentessa dell'Associazione delle donne marocchine in Italia; e tanti, troppi altri nomi. Quasi tutte queste persone sono emigranti che dopo essere fuggiti dalla loro patria verso l'Europa si ritrovano costretti a fuggire di nuovo, e a volte a cambiare nome e farsi proteggere dalla polizia. Ci sono esempi in tal senso anche in Nordamerica: una campagna di minacce contro Tarek Fatah e i suoi colleghi del Canadian Muslim Congress, di orientamento riformista; le minacce contro la scrittrice canadese Irshad Manji, anche lei musulmana riformista; il pestaggio, sempre in Canada, di un giornalista di origine pachistana, Jawad Faizi; e la necessità per Ibn Warraq, perfino negli Stati Uniti, di adottare uno pseudonimo e muoversi con circospezione: Ibn Warraq è un brillante studioso di origine pachistana, autore di Virgins? What Virgins? e Perché non sono musulmano (quale sia il problema di Warraq lo si può capire già dai titoli dei suoi libri).
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