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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2012 alle ore 16:56.

Se la democrazia è uno dei grandi impegni presi dall'Europa negli anni Quaranta, l'altro è stato la sicurezza sociale, la necessità di evitare intense privazioni. Anche se tagli feroci alle fondamenta dei sistemi europei di giustizia sociale fossero inevitabili (non credo, ma mettiamo pure che lo siano) è necessario convincerne la popolazione, invece di tagliare per decreto. Eppure sono stati spesso imposti a dispetto dell'opinione pubblica.
Legittimità democratica a parte, è anche una questione di senso pratico, di pratica "dell'arte del possibile" (come la politica dovrebbe essere). Si può negare ai cittadini una voce, ma in presenza di istituzioni democratiche, non si può negare loro un voto in elezioni periodiche. Non è una sorpresa, ma non si può zittire la cittadinanza esclusa dal processo di decisione: un'elezione dopo l'altra, i governi che hanno applicato i dettami delle superpotenze finanziarie sono stati indeboliti e a volte rimossi sommariamente. Un diritto di voto senza una voce efficace ha reso anche molto difficile trovare soluzioni concrete che prestassero la giusta attenzione a priorità assennate e a un do ut des accettabile. Il pubblico ragionare è cruciale non solo per la legittimità democratica, ma anche per una migliore epistemologia che tenga conto di prospettive divergenti. E' anche essenziale per far emergere particolari esigenze e limitare le proteste attraverso un ragionare pubblico che esamini le priorità nell'aggregato di esigenze molto diverse tra loro (un processo di do ut des che abbiamo imparato ad apprezzare da molti analisti, da Adam Smith e Condorcet nel Settecento fino a Frank Knight e James Buchanan ai tempi nostri).
In materia di buona politica economica, due questioni si presentano subito: 1) la viabilità della moneta comune e 2) la politica di austerità – scelta o imposta – nei paesi in difficoltà finanziarie. Sul primo punto, l'attenzione si è solitamente concentrata sulla sopravvivenza a breve dell'euro fornendo liquidità in un modo o nell'altro ai paesi nei guai. Ora si parla di salvataggi alternativi, di nuovi pacchetti di bailout con l'aiuto di paesi finanziariamente più robusti, di emissione di eurobond garantiti o dell'acquisto di buoni del Tesoro ad alto tasso di interesse greci, spagnoli o di altri paesi in da parte della Germania (che riceverebbe interessi cospicui pur senza correre grandi rischi finché l'euro sopravvive nella forma attuale). Molte di queste proposte meritano di essere considerate e potrebbero anche essere utili, ma nessuna affronta - o intende affrontare – il problema della viabilità a lungo termine del cambio inflessibile della moneta comune, anche quando paesi la cui produttività cresce meno – come la Grecia, la Spagna e l'Italia – restano indietro rispetto al resto della zona euro in termini di competitività commerciale. La Grecia, per esempio, potrebbe scoprire di aver sempre meno da vendere al cambio fisso dell'euro, a meno di ottenere l'equivalente di un aggiustamento del cambio con tagli brutali degli stipendi - anche pagati in moneta nazionale - su una scala altrimenti non necessaria.
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