Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2013 alle ore 09:00.

My24

Intervista ai tavolini di legno e vetro di un albergo di Capri, a venti metri dalla piscina, intorno il via vai pomeridiano assonnato degli altri ospiti del festival Le Conversazioni. Michael Chabon interverrà in serata insieme alla moglie Ayelet Waldman.

INTERVISTATORE - Mi sembri un maniaco della scrittura, qual è il tuo metodo di lavoro?
CHABON - Varia da libro a libro. A volte, di rado, un'idea mi arriva praticamente tutta formata, la vedo tutta insieme, e sento già come i diversi elementi faranno parte della storia e devo appuntarmeli rapidamente per non scordarli. E mi dico: e questo, e quest'altro, e poi succederà anche questo. Mi è successo solo due volte. Con Wonder Boys, il mio terzo libro. E con il libro che sto scrivendo adesso… Ma è troppo presto per parlarne in dettaglio… Altre volte emerge un aspetto, un elemento, all'inizio, di cui sono sicuro di voler parlare. [Fa la prima di un certo numero di lunghe pause, calmissime, cariche di silenzio per bere acqua]. Con Il sindacato dei poliziotti yiddish sono partito dall'idea di cercare di ambientare un romanzo in un posto immaginario in cui si potesse usare questo frasario che avevo scoperto, si chiamava Say It in Yiddish, un frasario per viaggiatori. Era stato messo insieme molto dopo la fine della Seconda guerra mondiale e quindi molto dopo che due terzi dei madrelingua yiddish erano stati eliminati e non esistevano più luoghi in cui usare effettivamente il frasario, che è del 1958.

INTERVISTATORE - Dove l'hai trovato?
CHABON - In libreria. Si trova. Vai su Amazon. Clicchi, due giorni e ce l'hai. Mi colpì moltissimo: e dove dovrei portarmelo, questo libro? Dove lo userei? Scrissi un saggio a proposito, speculando di possibili luoghi immaginari in cui utilizzarlo, ma non mi bastò. Pensai che volevo esplorare ancora quell'idea. E lo spunto con cui cominciai a scrivere quel libro non fu bum bum bum questa o quest'altra cosa: ma cominciò tutto da quello spunto di partenza.

INTERVISTATORE - Era anche un argomento delicato. Ti criticarono, vero?
CHABON - Sì, la comunità internet di parlanti yiddish (1). Alcuni dei membri dissero che avevo mancato di rispetto sia verso la lingua stessa – perché sembravo presumere che fosse una lingua morta mentre non lo era – sia verso l'autore, che scoprii essere uno dei più amati e stimati studiosi di yiddish e che era morto giovane. Era una specie di ultima speranza dello studio dello yiddish ed era scomparso e sembrava che io stessi mettendo in discussione l'idea alla base del libro, che tentassi di ridicolizzarlo o fargli il verso – e ovviamente non era la mia intenzione né credo di averlo fatto involontariamente. All'inizio del libro c'era solo quell'idea, e tutto il resto – l'ambientazione in Alaska, la forma della storia hard-boiled con detective, il fatto che avrebbe parlato dell'assassinio di un potenziale messia – è emerso col tempo, mentre procedevo con la scrittura. E questo è il mio processo più tipico. Partire da uno spunto che mi interessa.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi