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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2013 alle ore 09:00.

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INTERVISTATORE - Tornando all'ispirazione di Fountain City, volevo chiederti della comunità in cui sei cresciuto.
CHABON - Columbia. Crescere lì, in un posto che non esisteva ancora quando ci siamo trasferiti, che era così nuovo… Quando la mia famiglia lo visitò, ne esisteva solo una piccola parte.

INTERVISTATORE - E com'era? Un normale sobborgo?
CHABON - Lo è diventato ora, ma all'inizio fu concepito deliberatamente per essere una new town. Per essere integrata razzialmente, economicamente, religiosamente. L'uomo che la realizzò era un costruttore che aveva lavorato tanto e con successo a Philadelphia e a Baltimora (10). All'inizio degli Anni 60 Baltimora era una città famigerata per le pratiche immobiliari fondate sul pregiudizio. La parola inglese è redlining [una sorta di segregazione operata di fatto da chi offre servizi decidendo per ragioni razziali a quali territori non estenderli]. Se eri una famiglia nera e volevi comprare casa, andavi all'agenzia e l'agente in certi quartieri nemmeno ti ci portava, ma solo in quelli in cui c'erano già i neri. Quest'uomo era disgustato da queste pratiche e alla fine decise di ricominciare da capo in un posto nuovo. La gente che veniva a Columbia era un gruppo che si selezionava da sé, in due sensi: se eri nero e volevi comprare casa in un posto sicuro, buono, per crescere i tuoi figli, Columbia era perfetta, perché era l'unico posto nel corridoio tra Baltimora e Washington in cui potevi farlo. Se eri bianco, potevi comprarti una bella casa, nuova, a prezzi contenuti, in un posto con ottime scuole. Ci potevi crescere i figli, ma era anche un posto in cui potevi fare una vita di condivisione.

INTERVISTATORE - Middle class progressista.
CHABON - Esattamente. I miei genitori erano così. Giovani, progressisti e l'ideale di Columbia li attraeva al di là dei vantaggi economici. Mi ricordo la nostra prima visita. Guardammo vari posti, poi arrivammo lì e non c'era niente, ripeto, solo una minima frazione delle future migliaia di case, e tutte queste piante, mappe, proiezioni, vedute che poi vidi realizzate.

INTERVISTATORE - I tuoi che facevano?
CHABON - Mio padre era un dottore e mia madre aveva lasciato il college dopo due anni perché si era sposata ed era rimasta incinta. Dopo sarebbe tornata a finire gli studi per diventare avvocato, ma quando ci trasferimmo lì era una mamma a tempo pieno, cresceva me e il mio fratellino appena nato.

INTERVISTATORE - Credi che questa esperienza abbia segnato la tua scrittura?
CHABON - Sì. Immaginazione, mappe, realtà. E l'interrelazione di queste tre cose. C'erano queste mappe dettagliate di Columbia, ma al momento avevi di fronte solo terra e alberi e erba e potevi vedere i progetti che si facevano realtà, giorno dopo giorno. E poi c'erano le mappe nei libri che leggevo: le mappe di Narnia, della Terra di Mezzo, stampate dietro la copertina, alla fine dei romanzi per bambini... Infine le classiche mappe dei bambini quando giocano... Tutto – la letteratura, Columbia, la mia immaginazione – era correlato.

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