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Economia Politica economica

«Se il rigore tedesco segnerà la ripresa vuol dire che Keynes è superato»

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 20:21.
L'ultima modifica è del 18 giugno 2010 alle ore 20:22.

«Se il risanamento dei conti pubblici si dimostrerà la via maestra per la ripresa e una crescita rapida, allora potremo anche seppellire Keynes una volta per tutte. Se al contrario i mercati finanziari e i loro portabandiera politici si riveleranno degli "asini matricolati" come pensava Keynes, allora bisognerà prendere di petto la sfida, che rappresenta per il buon governo, il potere finanziario».

È questo «l'importantissimo esperimento, per capire quale delle due storie sia vera» nel quale l'economia globalizzata e i governi si stanno imbarcando secondo Robert Skidelsky, professore emerito di economia politica all'università di Warwick, di cui Il Sole 24 Ore in edicola sabato pubblica una riflessione sull'influenza che i mercati finanziari esercitano sui governi. Il dibattito tra economisti, rilanciato dal Sole 24 Ore sul web e sulla versione cartacea, divide le opinioni. Il confronto è soprattutto tra coloro che ritengono che i tagli alla spesa pubblica messi in atto dai governi europei nelle ultime settimane siano indispensabili per riconquistare la fiducia dei mercati e quindi per rilanciare gli investimenti e la crescita e chi, al contrario, ritiene - come Keynes - che qualsiasi taglio della spesa si traduca nell'impoverimento della società. Il "parodosso della parsimonia".

Con questi ultimi si schiera senza esitazioni Giovanni Mazzetti, uno dei 100 firmatari della Lettera degli economisti e professore associato di economia politica all'università della Calabria. «Credo che le prospettive future siano molto peggiori del "double-dip"» afferma ponedosi su posizioni ancora più estreme e pessimistiche di quelle espresse nella lettera sottoscritta insieme a un centinaio di altri colleghi. «Considero i tagli di spesa non come causa dei problemi futuri - afferma Mazzetti - ma solo come sintomo di una situazione ormai indirizzata verso la catastrofe. L'attività produttiva è sostenuta dalla spesa pubblica e questa si può tagliare solo se c'è la certezza che subentrerà la spesa privata. Ma chi, oggi, può essere certo di ciò? Come in una giaculatoria, si fa appello alla crescita per superare la crisi e risolvere i problemi dei bilanci pubblici. Ma la crescita non si ottiene con pratiche divinatorie: dipende dalla spesa. Keynes lo aveva detto già 80 anni fa : "La spesa di un individuo è il reddito di un altro individuo". Senza spesa non c'è la creazione del lavoro che manca o la riproduzione del lavoro che c'è già».

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Di opinione completamente opposta è Francesco Daveri economista de LaVoce.info, professore ordinario di politica economica all'Università di Parma e docente al master della Sda Bocconi. «Non sono così pessimista. La lettera dei 100 economisti contiene elementi keynesiani fuori luogo. Per esempio non tiene conto che alcuni paesi hanno rapporti debito/pil superiori al 100 per cento. Gli aggiustamenti delle finanze pubbliche andavano fatti. La Germania avrebbe potuto evitare i tagli in questa fase, in contemporanea con gli altri paesi. Il problema è che Angela Merkel, con la coalizione che si è spostata a destra, ha dovuto cedere al tema tradizionale del rigorismo a cui il suo elettorato è molto sensibile, e ha in qualche modo rinunciato all'eredità europeista del suo padre politico, Helmut Kohl».

La Merkel dunque ha tradito l'europeismo di Kohl? «Non sarei così drastico. È difficile oggi chiedere di più alla Germania. Kohl era più disponibile alle richieste dei partner europei perché lui stesso aveva qualcosa da chiedere, impegnato com'era nella riunificazione. Oggi non è così e la Merkel può permettersi di indicare la strada al resto dell'euro zona: il recupero di competitività verso il resto del mondo perchè è lì fuori che c'è il mercato, lì c'è il futuro. In questo la Germania dimostra di essere lungimirante.

Per il resto d'Europa, secondo Daveri, rinviare gli aggiustamenti di bilancio «significherebbe fare una politica dello struzzo». Inoltre, gli effetti di questa 'exit strategy', in presenza di una politica monetaria espansiva e del deprezzamento dell'euro, secondo l'economista «non saranno così negativi come temono alcuni. Inoltre - aggiunge - non abbiamo alcuna certezza che tra un anno o due la situazione dell'economia sarà migliore tanto da permettere un risanamento più agevole delle finanze pubbliche. I tagli fatti oggi, invece, possono consentire alla zona euro di riconquistare la fiducia dei mercati finanziari. È vero che la ripresa in questa fase passa soprattutto dall'export, ma il recupero di fiducia attraverso una gestione più ordinata dei bilanci pubblici crea senza dubbio un clima favorevole agli investimenti».

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