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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2010 alle ore 08:03.

La crescita del Paese passa anche attraverso maggiori incentivi alla produttività e un nuovo Statuto dei lavori per valorizzare le nuove forme contrattuali: l'appello è stato lanciato dal presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, nella conclusione dei lavori del convegno dei Giovani imprenditori dell'organizzazione.

Le parti sociali possono derogare «com'è già scritto nell'accordo del 2009 – ha aggiunto Sangalli – laddove ciò si renda necessario per far fronte a situazioni di crisi o ad esigenze di competitività e di produttività. Nessun dumping dei diritti dei lavoratori, dunque».

Le politiche pubbliche possono positivamente influire sull'evoluzione di questo modello di relazioni contrattuali. «Rafforzando – ha detto il presidente di Confcommercio – le scelte di riduzione del prelievo fiscale sul salario di risultato e valorizzando il welfare contrattuale bilaterale all'interno di un modello generale di sicurezza sociale finanziariamente più sostenibile e socialmente più inclusiva».

Davanti alla platea dei giovani di Confcommercio anche la politica ha portato le proprie ricette: per Andrea Ronchi, ministro per le Politiche europee «l'Italia paga all'Europa più di quanto riceve: è penalizzata sul fronte dell'accesso ai bandi comunitari. É necessario aprire un tavolo di lavoro con le maggiori categorie e associazioni del Paese, per individuare i progetti di sistema con i quali aggredire l'Europa». E per dare accesso agli strumenti offerti dalla tecnologia, Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo economico, promette «entro il 2020 l'abbattimento del digital divide, che vede attualmente il 50% delle famiglie escluse dalla connessione a banda larga, con effetti anche sulla competitività dei distretti produttivi».

Provvedimenti necessari a non scoraggiare quel 15,8% di giovani che, secondo la ricerca introduttiva del forum realizzata con Format, hanno fra i 19 e i 39 anni e pensano di dare vita a una propria impresa nei prossimi 5 anni. Giovani che in gran parte - tre su dieci - si dicono totalmente indifferenti alla politica, e che ripongono fiducia nella propria famiglia (49,4%) molto più che in altre istituzioni anche per riuscire ad accedere prima o poi alla professione d'interesse. Una generazione che non ha potuto avvantaggiarsi di strumenti pure previsti quali stage e apprendistato, ridotti a formule viste «più come tipologie convenienti di contratti che come metodi di insegnamento di un mestiere» ammonisce Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro a Modena e Reggio Emilia, puntando anche il dito contro l'anomalia italiana: «In altri paesi europei il giovane è chi ha meno di 25 anni, colui che va accompagnato al mondo del lavoro. Da noi i ragazzi faticano a trovare lavoro, ma rifiutano sistematicamente ogni tipo di attività manuale, mentre le imprese stentano a reperire figure adeguatamente formate».

Un sistema dell'istruzione interamente da rivedere, riassume il presidente dei giovani di Confcommercio Paolo Galimberti chiedendo maggiore dialogo fra la scuola e il mondo produttivo. Senza dimenticare la fascia d'ombra di oltre un milione di giovani che risulta non essere impegnato nell'istruzione nè nel lavoro: «Hanno rinunciato - ha concluso Sangalli - non studiano e non fanno altro. A loro dobbiamo dimostrare di sapere costruire le condizioni per un paese che invece non si arrende al declino e li considera una risorsa. Lo scenario d'autunno rende necessario un patto sociale che si faccia carico della questione generazionale».

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