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Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2011 alle ore 13:37.
Ci sono le campagne salutistiche, la polizia pronta a ritirare la patente se si beve un bicchiere di troppo, la concorrenza spietata dei cileni e degli australiani. Tuttavia per le cantine italiane il 2010 è stato un anno positivo e il 2011 si apre con una sensazione di diffuso ottimismo. Il sentore era nell'aria, ma a confermarlo è stata un'inchiesta del sito Winenews.it, sito specializzato sul tema che ha intervistato 50 tra i maggiori produttori italiani, dal valore complessivo di 1,8 miliardi di euro, per i quali il 2010 si è chiuso con un fatturato in crescita dell'8,5% e soprattutto un export trainante a +14%. Certo, c'è chi ha visto i propri conti aumentare solo del 2% e chi li ha visti schizzare al 25%. Ma solo il 10% delle aziende intervistate ha dichiarato una sua diminuzione.
Produttori "ottimisti" per il 2011
«Noi abbiamo chiuso con un aumento del 13% globale, che ha superato addirittura le nostre attese - dice Renzo Cotarella, direttore generale della toscana Antinori – Certo, i numeri sono comunque più bassi del 2008, ma stiamo risalendo. La crescita è stata trainata soprattutto dagli ultimi mesi, mentre il primo semestre del 2010 è stato piuttosto fiacco». «Ottimista per il 2011» si dice anche Marco Caprai, titolare dell'azienda di Montefalco, che apre l'importante capitolo delle esportazioni, soprattutto quelle verso la Cina: «E' un mercato ancora molto piccolo, ma i tassi di crescita hanno una progressione geometrica. Bisogna essere bravi a investire, per esempio anche organizzando degustazioni abbinate a prodotti del territorio, per farlo conoscere, oppure facendo formazione sul personale della ristorazione e delle enoteche».
Boom delle esportazioni, soprattutto in Cina
Nell'inchiesta di Winenews.it si legge che le esportazioni sono aumentate per ben il 90% delle aziende interpellate, con valori fra il 3 e il 50%. Il vino italiano è andato a finire soprattutto nei mercati emergenti di Cina, Russia e Medio Oriente, ma anche negli Stai Uniti e in Germania, mercati maturi che stanno riprendendo quota. «Certamente il mercato staunitense, che è il primo del mondo per consumi, è molto competitivo in termini di prezzo, e da questo noi non traiamo vantaggio - continua Cotarella – In ogni caso noi cresciamo più in fatturato che in volume».
L'avaro (ma stabile) mercato italiano
E' il mercato italiano quello che conferma la sua avarizia di soddisfazioni, «anche a causa di fattori come le nuove limitazioni al consumo, la crisi che contrae i consumi, e anche uno stile di vita più votato al fitness», dice Caprai (ma non erano proprio i dietologi a predicare da anni di consumare il classico bicchiere di vino rosso ai pasti, ricco di preziosi antiossidanti?) Ma appunto, la crisi: passata sulle tavole, come in altri settori, ci ha lasciato solo quello che vi era solidamente attaccato. «Il fatto è che il consumatore italiano beve meno anche perché tende ad andare più sul sicuro. La sperimentazione, la moda del nuovo a tutti i costi di qualche anno fa non va più. Infatti i vini più venduti sono quelli di fascia 8-18 euro, medio-buoni ma che hanno il vantaggio di essere molto noti». L'aveva dimostrato anche Winenews.it con un altro sondaggio fra le enoteche italiane, dal quale risultava che di bottiglie d'annata, pregiate e costose ma magari più a rischio di sapore di tappo, se ne vendono poche. Certo, c'è sempre quella nicchia di nomi lussuosi che la crisi non sfiora, e da Antinori arriva la conferma: «Come vanno le vendite del Solaia, vino da 250 euro? Bene!».
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