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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 13:03.

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CAMBRIDGE – L’attuale surplus corrente della Cina – la combinazione tra surplus
commerciale e redditi netti derivanti dagli investimenti esteri – è il più alto al mondo. Con un avanzo commerciale di 190 miliardi di dollari e redditi derivanti da un portafoglio di asset esteri di circa 3mila miliardi di dollari, il surplus della Cina con l’estero si attesta a 316 miliardi di dollari, che corrisponde al 6,1% del Pil annuo.

Dal momento che il surplus delle partite correnti è denominato in valute estere, la Cina deve utilizzare tali fondi per investire all’estero, principalmente acquistando bond governativi emessi dagli Stati Uniti e dai paesi europei. Di conseguenza, i tassi di interesse in questi paesi sono inferiori rispetto a quanto dovrebbero essere.

Tutto ciò è sul punto di cambiare. Le politiche che la Cina adotterà, sulla base del nuovo piano quinquennale, faranno ridurre il surplus commerciale e delle partite correnti. È possibile che, entro la fine del decennio, il surplus cinese delle partite correnti si trasformi in deficit, dal momento che le importazioni cinesi supereranno le esportazioni e il paese spenderà i redditi derivanti dagli investimenti esteri nell’import invece che in titoli esteri. Se ciò dovesse accadere, la Cina non sarà più il maggiore acquirente di titoli del Tesoro americani ed esteri, inducendo in questi paesi una pressione al rialzo sui tassi di interesse.

Per quanto tale scenario possa sembrare ora poco plausibile, in realtà è alquanto probabile che si verifichi. Dopotutto, le politiche che la Cina adotterà nei prossimi anni puntano sull’enorme tasso di risparmio del paese – la causa dell’ampio surplus delle partite correnti.

In qualsiasi paese, il saldo corrente della bilancia dei pagamenti è pari alla differenza tra risparmi e investimenti in impianti e attrezzature, immobili e scorte a livello nazionale. Non si tratta di teoria economica o di ordine storico. È una fondamentale identità contabile del reddito nazionale che deve essere valida ogni anno per ogni paese. Quindi, qualsiasi paese in grado di ridurre i propri risparmi senza tagliare sugli investimenti registrerà un calo del surplus delle partite correnti.

Il tasso di risparmio nazionale della Cina – inclusi i risparmi delle famiglie e delle aziende – si attesta ora attorno al 45% del Pil, il più alto al mondo. Tuttavia, guardando avanti, il piano quinquennale farà scendere il tasso di risparmio, visto che la Cina intende incrementare i livelli di spesa dei consumatori e pertanto il tenore di vita del cinese medio.

Il piano prevede anche un aumento dei salari reali così da far crescere il reddito delle famiglie in rapporto al Pil. Inoltre, le imprese pubbliche dovranno pagare come dividendi una fetta più ampia dei propri guadagni. E il governo farà lievitare i propri livelli di spesa su servizi di consumo quali sanità, istruzione ed edilizia.

Queste manovre sono motivate da considerazioni nazionali, dal momento che il governo cinese intende alzare gli standard di vita più rapidamente del tasso di crescita del Pil. L’effetto sarà una crescita dei consumi in rapporto al Pil e una diminuzione del tasso di risparmio nazionale, che a sua volta porterà a un ridotto surplus delle partite correnti.

Poiché tale surplus si aggira ora al 6% del Pil, se il tasso di risparmio passerà dall’attuale 45% a meno del 39% – sempre alto rispetto a qualsiasi altro paese – il surplus diverrà deficit.

Tali prospettive per il saldo delle partite correnti non dipendono dall’andamento del tasso di cambio del renminbi rispetto alle altre valute. Lo squilibrio tra risparmi e investimenti è fondamentale, e da solo determina la posizione del paese con l’estero.

Tuttavia, la riduzione dei risparmi nazionali spingerà probabilmente il governo cinese ad apprezzare più rapidamente il renminbi, per evitare che un incremento della spesa dei consumatori a livello nazionale crei pressioni inflazionistiche. Una rivalutazione della moneta consentirà, infatti, di controbilanciare tali pressioni e di frenare il rincaro dei prezzi.

Un rafforzamento del renminbi ridurrebbe la spesa nazionale sulle importazioni, inclusi i prezzi per il petrolio e altri fattori produttivi, e al contempo renderebbe le merci cinesi più care per gli acquirenti stranieri, e i prodotti esteri più allettanti per i consumatori cinesi. In questo modo si passerebbe dall’export alla produzione per il mercato domestico, così riducendo il surplus commerciale, e si potrebbe contenere l’inflazione.

I temi del surplus commerciale cinese e del tasso di cambio del renminbi hanno giocato un ruolo importante durante l’incontro che è avvenuto all’inizio di questo mese a Washington tra il Presidente cinese Hu Jintao e il Presidente americano Barack Obama. Gli americani auspicano che la Cina riduca il surplus e consenta un apprezzamento più rapido della propria moneta. Eppure dovrebbero stare attenti a ciò che desiderano, perché una riduzione del surplus e un rafforzamento del renminbi implicano che un giorno la Cina non sarà più il maggiore acquirente di bond governativi americani. È bene che gli Stati Uniti inizino sin da ora a prepararsi a tale eventualità.

Martin Feldstein, professore di economia ad Harvard, è stato alla guida del Consiglio dei consulenti economici durante l’amministrazione Reagan e presidente del National Bureau for Economic Research.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgPodcast di questo articolo in inglese:Traduzione di Simona Polverino

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