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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 09:14.
L'ultima modifica è del 03 marzo 2011 alle ore 06:42.

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Emma MarcegagliaEmma Marcegaglia

Fare tesoro dell'esempio tedesco. Dove l'aumento di produttività e la flessibilità del mercato del lavoro, grazie anche alle deroghe ai contratti, hanno permesso alla Germania di raggiungere risultati importanti: nel 2009, un aumento del tasso di disoccupazione dello 0,2% appena, rispetto ad un calo del pil del 5% e nel 2010 di crescere del 3,6 per cento. La Fondazione Rodolfo De Benedetti ha preso il tema come spunto ed ha messo attorno al tavolo Confindustria, sindacati ed alcuni economisti per ragionare se e come le ricette tedesche possono rappresentare una lezione per l'Italia.

Le ha raccolte immediatamente Emma Marcegaglia, convinta che l'aumento della produttività sia l'unica strada per aumentare i salari e la competitività delle imprese. E spingere la crescita. Ieri sono usciti gli ultimi dati del Centri studi Confindustria: la produzione industriale è aumentata dello 0,3% in febbraio su gennaio. Il recupero quindi prosegue, l'attività coingiunturale del primo trimestre 2011 ha una crescita acquisita dell'1,5 per cento. Ma il livello di attività resta del 16,7% inferiore rispetto al picco pre crisi.
Bisogna cambiare passo. Già nell'ultimo rapporto CsC erano state messe in evidenza le caratteristiche del sistema tedesco, in particolare l'opting out, e cioè la possibilità di deroghe al contratto di categoria. Secondo l'economista Claus Schnabel circa il 50% delle aziende tedesche hanno applicato deroghe, soprattutto sull'orario di lavoro e in misura minore sul salario. Come ha spiegato anche l'economista Tito Boeri, i conti individuali delle ore lavorative, schemi di riduzione incentivata dell'orario e l'interinale sono stati perni del successo tedesco.

«La deroga va utilizzata nella logica di unire la contrattazione aziendale con un maggiore livello di produttività e pagare più salario», ha detto la Marcegaglia nella riunione. Come Confindustria, ha aggiunto, «stiamo ragionando sul tema dell'opting out, cioè contratti collettivi aziendali in deroga a quelli nazionali, una questione innescata anche dai contratti Fiat di Pomigliano e Mirafiori». Questa possibilità, ha aggiunto, in Germania c'è dal 2005 ed ha aiutato molte aziende. Inoltre le imprese possono essere iscritte alle organizzazioni imprenditoriali senza applicare il contratto nazionale, ma un contratto collettivo aziendale. Una scelta, quest'ultima, che, come ha spiegato la presidente di Confindustria, viene utilizzata dal 3% delle imprese e quindi non ha provocato uno sfaldamento del sistema di relazioni sindacali. «Dobbiamo scegliere se subire o gestire il percorso: io come Confindustria, vorrei gestirlo». Altra faccia della medaglia, anche se non era il focus del dibattito di ieri, la flessibilità del mercato del lavoro: «Abbiamo un mercato troppo duale, c'è forse un eccesso di flessibilità in entrata e un problema di flessibilità in uscita». Altra riflessione sulla cassa integrazione: «Da noi è usata per coprire la disoccupazione, con la crisi dietro l'angolo va vista come uno strumento eccezionale», ha detto la Marcegaglia.
Bene, per il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, se le parti arriveranno ad un nuovo Statuto dei lavori: «Potrebbero realizzare un avviso comune. Ha ragione la presidente di Confindustria quando sottolinea l'esigenza di completare la regolazione dei rapporti di lavoro. E positivo che a parlarne siano le parti sociali».

Ma il dialogo non è facile. Susanna Camusso, leader della Cgil, presente all'incontro insieme ai colleghi di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, dice sì ad una riforma del sistema contrattuale e ad un nuovo equilibrio tra contratto nazionale e aziendale. Ma la Cgil resta contraria alle deroghe. E ieri la Camusso ha anche contestato l'idea che si possa mettere mano ad uno Statuto dei lavori e che si parli di flessibilità.
«In Italia sulle misure salariali è successo un putiferio, come nel caso Fiat. Sembrava si andasse a rubare e invece si volevano mantenere i posti di lavoro. In Germania lo hanno fatto di più e con il sostegno della collettività», ha detto Bonanni, augurandosi un clima più pacato «visto che dovremo ancora gestire situazioni complicate».

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