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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2011 alle ore 07:53.

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Moody's ha tagliato, a sorpresa, il rating greco di tre livelli, sollevando di nuovo lo spettro della ristrutturazione del debito anche prima del 2013, data in cui verrà meno lo "scudo" dei prestiti da 110 miliardi di aiuti concessi ad Atene da Ue e Fmi.

La mossa dell'agenzia che ha portato incredibilmente il rating greco al livello di quello di Bolivia, Angola, Albania, Bielorussia, Mongolia e Papua Nuova Guinea, aumenta la pressione sul vertice del 24-25 marzo dei leader europei per cercare di ammorbidire i termini (tempi e interessi) di rimborso dei prestiti di salvataggio per la Grecia, dopo che la Germania e i suoi alleati sembravano aver voltato le spalle a misure radicali per contribuire a ridurre il debito di Atene attraverso buy-back di obbligazioni.

Moody's – dopo l'annuncio della Bce di un possibile rialzo dei tassi ad aprile e l'aumento del prezzo del petrolio sopra i 100 dollari – ha declassato il debito greco a B1 da Ba1 e ha annunciato che potrebbe tagliarlo ancora, giustificando la decisione con l'aumento dei rischi sul programma di consolidamento fiscale, carenze di gettito, difficoltà di riformare l'assistenza sanitaria e il sistema delle imprese a partecipazione statale. In un comunicato Moody's motiva le sue scelte con le persistenti difficoltà che gravano sull'economia e con i rischi di una insolvenza sui pagamenti dopo il 2013.

Intanto i Cds per assicurare il debito sovrano greco sono saliti di 50 punti a quota 1.036. Furiosa la reazione del ministro delle Finanze, George Papaconstantinou, che ha definito «completamente ingiustificata» la decisione di Moody's perché non riflette un'«obiettiva e bilanciata» valutazione delle condizioni a cui il paese sta facendo fronte. Inoltre il «tempismo e le modalità» del declassamento sono «incomprensibili e sollevano molti dubbi». «Decisione di Moody's poco opportuna dal momento che il governo greco ha messo in atto significative riforme», conviene Tullia Bucco, economista di UniCredit sulla stessa lunghezza d'onda di Antonio Borges, direttore per l'Europa dell'Fmi, che si dice «fiducioso sul successo del programma fiscale di Atene».

Atene critica Moody's e le altre agenzie di rating che, dopo aver fallito completamente nel predire lo shock del 2008, «fanno adesso a gara per essere le prime a individuare i rischi che porteranno alla prossima crisi» attraverso un meccanismo di auto-realizzazione in un momento in cui «l'economia globale è fragile». E sottolinea che ciò rafforza gli argomenti a favore di «una maggiore regolamentazione» di questi enti.

E l'Europa? «I paesi dell'Eurozona dovrebbero agevolare i termini per il rimborso dei prestiti concessi alla Grecia e all'Irlanda», ha detto il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, in un'intervista al quotidiano Handelsblatt pubblicata lunedì. «La zona euro dovrebbe abbassare i tassi di interesse per la Grecia e l'Irlanda», ha detto Rehn. «Per la Grecia - ha aggiunto - si dovrebbe prolungare la scadenza del prestito da tre anni a sette».
Insomma la questione è politica: come può la Grecia a maggio 2013 fare a meno di altri aiuti con un debito che arriverà secondo la commissione Ue al 158% del Pil, con una contrazione del Pil per tre anni (-2% nel 2009, - 4,2% nel 2010, -3% nel 2011) e un deficit che seppure ridotto andrà sommato al debito che cresce per il calo del Pil? La Grecia avrebbe bisogno di ridurre il rapporto debito/Pil al 90% se guardiamo all'ultimo libro di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. Quindi se al vertice di marzo la Germania darà via libera all'uso di parte dei 440 miliardi di euro dell'European financial stability facility per permettere ad Atene di riacquistare parte del suo debito (ristrutturazione mascherata), allungare la restituzione del prestito da 3 a 7 anni e ridurre gli interessi, allora la crisi si allontanerà.

Altrimenti sarà la volta di Naomi Klein, l'autrice del bestseller "No Logo", che si è unita alla campagna di Noam Chomsky, Tony Benn e Ken Loach per un audit sul debito greco fatto da economisti indipendenti che metta sotto esame la legalità di tutti i debiti contratti e nel caso ne invalidi l'impegno al rimborso, aprendo così di fatto a un default mirato (come avvenne con il presidente Correa in Ecuador) per alcune emissioni.

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