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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2011 alle ore 15:23.

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Crociata di Francia e Italia contro le «vigne libere» (Marka)Crociata di Francia e Italia contro le «vigne libere» (Marka)

Viticoltori europei contro la deregulation dei vigneti. Secondo l'ultima riforma dell'organizzazione comune di mercato del vino (articolo 90 del regolamento 479/2008, poi modificato dall'articolo 85 octies del regolamento 491/2009) a partire dal 2015 i diritti di impianto dei vigneti in Europa verranno liberalizzati. Il sistema di licenze produttive varato nel lontano 1972 (mutuato dalla Francia dove furono introdotte già dal 1936) per controllare la produzione decadrà. E ai viticoltori, per piantare un vigneto, non serviranno più licenze produttive ma basterà la titolarità dei terreni. Unica eccezione: la possibilità concessa agli stati membri di prorogare il vecchio sistema di un triennio, fino al 2018. Dopo quella data, però, nei filari europei la libertà sarà totale.

L'avvicinarsi della scadenza del 2015 ha già provocato una vera e propria "levata di scudi" da parte dei viticoltori Ue. Critiche culminate il mese scorso con la presa di posizione del Presidente francese, Nicolas Sarkozy. Il quale, in una recente visita in Alsazia, ribadendo le perplessità già espresse lo scorso anno anche dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, si è detto assolutamente contrario a una liberalizzazione dei diritti. «Abolire le licenze produttive – ha spiegato – significherebbe scegliere una produzione standardizzata, senza terroir e al più basso costo possibile. Prodotti che non saranno frutto del know how dei vignerons, del loro lavoro e dell'organizzazione di filiera che vogliamo dare alla nostra viticoltura». I rilievi del presidente francese sono giunti dopo che in Francia, sono state rese note le conclusioni dello studio condotto dalla parlamentare Catherine Vautrin per valutare gli effetti di una caduta del sistema dei diritti in Europa. Dallo studio è emerso che la deregulation può innescare un vero e proprio boom delle superfici vitate. Si stima infatti che gli ettari di vigneto nel giro di pochi anni passino da 61mila a 120mila nella Côtes du Rhône in Francia, da 60mila a 200mila nell'area del Rioja in Spagna, da 17mila ad oltre 35mila nel Chianti.

Un'esplosione dell'offerta che rischierebbe di penalizzare pesantemente i vini europei già alle prese con consumi in calo e prezzi in discesa. Francesi e tedeschi, quindi, sembrano aver sposato oggi una linea di contrarietà alla liberalizzazione degli impianti che, nel 2007, al tempo della riforma, fu sostenuta solo dagli italiani. «All'epoca del negoziato Ue – spiega Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc (la federazione dei vini Doc italiani) e di Efow (l'omologo europeo) – la loro priorità era mantenere l'autorizzazione a utilizzare lo zucchero per innalzare la gradazione alcolica dei vini. Ma oggi si sono resi conto dei pericoli legati alla liberalizzazione. La Francia sta promuovendo un fronte anti–deregulation che oltre a italiani e tedeschi vede il favore anche di spagnoli e ungheresi».

Federdoc non esita a definire la liberalizzazione dei diritti come una "sciagura" che oltre ai rischi di sovrapproduzione può generare una sperequazione fra i vecchi produttori (che hanno investito in passato per acquistare terreni e licenze) e i futuri viticoltori ai quali basterà solo la titolarità dei terreni. Ipotesi che fa gola agli investitori stranieri che potrebbero puntare su aree viticole vocate senza dover fronteggiare alcuna barriera all'ingresso. L'impatto più pesante è previsto proprio per i vini a denominazione d'origine per i quali, in molti casi, i diritti di impianto oggi non sono disponibili. In molte aree Doc (da Montalcino, in Toscana, alla Valpolicella, in Veneto) per frenare la produzione gli albi dei vigneti sono oggi "blindati" (per i piemontesi Barolo e Barbaresco proprio nei giorni scorsi il blocco è stato sancito fino al 2014).

Mentre dal 2015 da una indisponibilità di diritti si passerebbe alla totale liberalizzazione. Quali le possibili contromisure? «Bisogna risolvere un controsenso delle norme Ue – aggiunge Ricci Curbastro –: la riforma infatti prevede la possibilità per i consorzi e le associazioni di produttori di mettere in campo politiche per regolare l'offerta. Ma contemporaneamente punta a eliminare il principale strumento in mano ai produttori per gestire la produzione e cioè i diritti di impianto». «Sarebbe bene che una rivoluzione del genere avvenga in modo graduale – spiega Piero Antinori, presidente della Marchesi de' Antinori e tra i principali produttori italiani con oltre 1.400 ettari di vigneti – magari con una proroga del vecchio regime. Anche se nell'immediato non vedo rischi di sovrapproduzione. Penso che i nuovi investimenti verranno scoraggiati più che dalle licenze produttive dagli attuali, bassi prezzi di vendita dei vini. Al limite – conclude Antinori – nelle norme Ue colgo una profonda contraddizione: da un lato, si promuove la libertà di impianto e, dall'altro, si investono 300 milioni l'anno per estirpare i vigneti europei».

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