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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 07:51.
«Sono ormai minime le divergenze tra gli stati membri tanto che credo che al vertice del 24-25 marzo chiuderemo il negoziato con un accordo sulla risposta globale da dare alla crisi dell'euro» ha riassunto ieri sera, al termine della riunione dei ministri dell'Eurogruppo, il suo presidente Jean-Claude Juncker. Che comunque ha confermato la riunione straordinaria dei ministri tra una settimana, il 21 marzo, a ridosso del summit dei capi di governo.
Con il Nordafrica in ebollizione che non cessa di far lievitare i prezzi del petrolio. Con la tragedia che ha colpito il Giappone «il cui impatto è al momento difficile da valutare». Con l'inflazione che rialza la testa, la mina vagante degli stress test sulle banche europee e l'Irlanda che si rifiuta di procedere alla loro ricapitalizzazione fino a che non ne saranno noti gli esiti, c'è di che appianare e presto le discordie intra-europee per tentare di ripristinare, in uno scenario pieno di troppe incertezze, almeno la stabilità dell'euro.
Tra i punti già acquisiti nel negoziato, quello sul debito pubblico e secondo la linea auspicata fin dal principio dall'Italia. Nella valutazione, ha dichiarato il commissario Ue agli affari economici, Olli Rehn, avranno «un ruolo importante» gli altri fattori rilevanti. E ha aggiunto: «Un fattore rilevante sarà il livello del debito privato in funzione del suo impatto sul servizio del debito pubblico». In breve, la Spagna si è arresa ritirando le sue obiezioni su questo fronte. In questo modo il criterio, a sua volta acquisito, della riduzione numerica di 1/20 annuo per tre anni, è diventato accettabile.
Altro punto, che pare ormai risolto, quello delle sanzioni semi-automatiche che diventano più rigide rispetto al patto franco-tedesco di Deauville che le aveva ammorbidite accontentando la Francia. Ora la maggioranza rovesciata per bloccare una proposta punitiva della Commissione non si applicherà soltanto alla fine della procedura ma fin dalla fase iniziale.
Forse la questione più difficile da chiudere riguarda i fondi di stabilizzazione dei paesi in crisi, l'attuale EFSF e il futuro ESM (a partire dal 2013). Se l'accordo è fatto sulla loro capacità effettiva di erogare prestiti, 440 miliardi nel primo caso e 500 nel secondo, sulle modalità di finanziarle non c'è ancora l'intesa. Alla fine lo faremo con le garanzie di stato, prevede Juncker. Anche se ci vorrà una quota cash, si parla di 100 miliardi, da versare per mantenere la tripla A. E qui ci sono le maggiori divergenze perché molti paesi non vogliono assumersi troppi oneri in una fase di generalizzato rigore per i bilanci nazionali.
Bollente il problema Irlanda, che già al vertice di venerdì si è vista rifiutare taglio dei tassi di interesse sul prestito europeo e riscadenziamento. Per il rifiuto di alzare la sua imposta sulle società. Rifiuto assoluto, ribadito anche ieri dal suo ministro Michel Noonan. Che contemporaneamente invoca tempi più lunghi per la ristrutturazione delle banche, sottolineando che i 10 miliardi già in cantiere non basteranno. E comunque non intende muoversi prima di aver incassato i risultati degli stress test.
Rehn ha cercato ieri di gettare acqua sul fuoco delle evidenti tensioni con Dublino. Ci sono 35 miliardi in tutto per puntellare le banche, ha ricordato. E poi c'è la copertura dei fondi pensioni. Tutto vero, anche se la mina irlandese non aiuta a tranquillizzare il negoziato e nemmeno il contesto circostante.
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