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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2011 alle ore 16:04.

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Sono nuovamente giorni decisivi questi per i paesi indebitati della periferia europea. Lo sguardo non corre solo a Lisbona, dove è scoppiata una grave crisi politica. Anche a Dublino il momento è delicatissimo. Le autorità irlandesi stanno discutendo di nuove condizioni creditizie con il Fondo monetario internazionale e l'Unione europea. In ballo c'è anche la situazione delle banche, una vicenda che ha scatenato un braccio di ferro.

La pubblicazione di nuovi stress-test irlandesi, prevista per giovedì prossimo, mostrerà probabilmente che gli istituti di credito del paese hanno bisogno di nuovo denaro fresco per evitare il tracollo finanziario, più dei 35 miliardi già messi a disposizione. In questa ottica il governo del primo ministro Enda Kenny sta facendo pressione sulle autorità europee per trovare un accordo il più conveniente possibile.

Da Bruxelles venerdì il premier ha spiegato che le banche irlandesi beneficerebbero di maggiore «credibilità» se godessero di «un'assistenza finanziaria di medio-lungo periodo». Kenny ha poi aggiunto: «Ne ho parlato direttamente con il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet». Attualmente gli istituti di credito irlandesi hanno linee di credito per circa 100 miliardi di euro con la Bce e altri 70 miliardi con la Banca centrale del loro paese.

Ieri il quotidiano The Irish Times spiegava che il consiglio direttivo della Bce sarebbe pronto a creare a favore delle banche irlandesi un paracadute da 60 miliardi di euro che sostituirebbe i prestiti provenienti direttamente dall'istituto monetario di Dublino (erogati sulla base dell'Emergency Liquidity Assistance). Il giornale sottolineava che l'uso dello strumento sarebbe vincolato a criteri restrittivi.
Da Francoforte ieri appariva una realtà diversa. Non solo molti si interrogavano sulla fattibilità legale di un'operazione di questo tipo, ma emergeva l'impressione che dietro agli articoli di giornale e alle dichiarazioni politiche ci fosse il tentativo degli irlandesi di fare pressione sulla Bce per strappare un accordo meno costoso per le casse pubbliche e meno impegnativo per le stesse banche nazionali.

Il governo Kenny, che si è insediato poche settimane fa dopo drammatiche elezioni anticipate in un paese in piena crisi debitoria, non vuole impegnare negli istituti di credito troppo denaro pubblico per paura da un lato di provocare critiche da parte dell'elettorato, ormai visceralmente anti-banche, e dall'altro di assistere a una revisione al ribasso del voto sul debito nazionale. In questa ottica, un eventuale aiuto della Bce appare particolarmente utile.

Il consiglio direttivo dell'istituto monetario però valuta la situazione diversamente. Sa di dover aiutare gli istituti irlandesi, ma crede che solo ristrutturando in profondità le banche si possa evitare un circolo vizioso. Misure non sufficientemente radicali sul fronte patrimoniale degli istituti di credito comporterebbero possibilmente una revisione al ribasso dei rating societari, con un impatto dirompente sui mercati e in ultima analisi sull'economia nazionale.
La Bce vuole ritornare rapidamente al modus vivendi pre-crisi nel rifinanziamento al settore creditizio, esortando le banche più fragili a rivolgersi al mercato. Al tempo stesso vuole evitare che i loro bisogni di liquidità inquinino la aste di pronti contro termine. Sta quindi studiando un sistema per ritornare alle operazioni di liquidità a tre mesi a tasso variabile e ad ammontare limitato che possano funzionare anche in presenza di istituti particolarmente bisognosi di liquidità.

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