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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 07:52.

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Estrarre valore da quanto ha comprato in giro per il mondo dal 2007, continuando a ridurre il debito e a pagare ricchi dividendi. È questa la strategia di Enel. A partire da Endesa e dalla russa Ogk-5, rilevate quando i loro prezzi erano ai massimi (Enel ha sborsato per Endesa, al netto delle dismissioni, 28 miliardi e ora in Borsa ne vale 20; il 60% di Ogk-5 l'ha pagato 2,6 miliardi di euro ma in Borsa è ben al di sotto). Ma quei valori erano quello che allora passava il convento, se il gruppo elettrico voleva crescere. In Italia del resto la liberalizzazione ha ridotto Enel a una quota di mercato al 30% circa e la crisi ha accelerato la contrazione della domanda di energia (-8% i ricavi in Italia di Enel, -20,9% il margine operativo lordo dalla generazione). E se non avesse comprato, il gruppo oggi avrebbe le dimensioni di una ex municipalizzata. Invece proprio dal Sudamerica (Endesa) e dalla Russia arriva la crescita che ha sostenuto i risultati del 2010.

Un debito tornato a livelli sostenibili (45 miliardi) - con le dismissioni proseguite per tre anni, vendendo ai minimi sotto la pressione delle agenzie di rating e la quotazione a sconto di Egp ne è prova - mantiene la promessa fatta dall'a.d. Fulvio Conti all'inizio del secondo mandato. Una scommessa che doveva assolutamente vincere soprattutto dopo l'aumento di capitale da 8 miliardi varato nel 2009 e mal digerito dal ministro per l'Economia, Giulio Tremonti, perchè ha costretto l'azionista Tesoro - che non aveva i soldi - a delegare alla Cdp la sottoscrizione dei suoi diritti di opzione. Forse anche per questo Tremonti ha voluto un uomo in cui ha grande fiducia come presidente - commercialista ma anche consulente d'affari - a seguire quanto succede nell'azienda. La strategia punta a recuperare efficienza nei paesi in cui il gruppo è presente (Italia, Est Europa, Spagna e Sudamerica, Russia), dove possibile attraverso business integrati verticalmente. Come avviene in Russia con la partecipazione, assieme a Eni, ai giacimenti di gas di SeverEnergia che servono ad alimentare le centrali idi Ogk-5(anche se, secondo i detrattori, i gruppi italiani avrebbero avuto i giacimenti dopo aver partecipato allo spezzatino di Yukos per fare un favore a Putin, rivendendone gli asset a Gazprom). In Spagna, invece, da venerdì scorso è operativo il gasdotto Medgaz, che arriva dall'Algeria, e di cui Enel ha il 12 per cento. In Italia, dove l'ipotesi del nucleare sembra archiviata, la strategia non muta: gli investimenti nell'atomo (che in Slovacchia, Francia e Spagna nel 2010 hanno generato margini per 900 milioni) non sono nemmeno contemplati nei piani al 2015. Che invece fanno perno sull'entrata in funzione della centrale a carbone di Porto Tolle da 2mila megawatt, sul rigassificatore di Porto Empedocle (800 milioni l'investimento, anche se per ora bloccato dal Tar). E sull'espansione nelle energie rinnovabili accorpate in Enel Green Power(6,4 miliardi gli investimenti entro il 2015).

La Spagna, secondo mercato dopo l'Italia, rappresenta ancora un'incognita, considerato l'aumento del rischio Paese. Il Governo Zapatero ha cominciato a ripagare il deficit tariffario (3 miliardi su 9 miliardi di crediti verso Endesa) e dal 2013 ha promesso di adeguare i prezzi dell'energia che dovrebbero assicurare più guadagni per Enel. Come del resto sta accadendo in Russia, dove a trainare la crescita sono soprattutto gli aumenti delle tariffe dell'energia legati alle liberalizzazioni.

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