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Questo articolo è stato pubblicato il 04 aprile 2011 alle ore 08:21.

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«È evidente che un rialzo dei tassi di interesse rende più restrittivo o più costoso il credito alle imprese. In un contesto normale una stretta motivata da un aumento dell'inflazione dovrebbe lasciare inalterato il costo del credito in termini reali. In questo caso, però, gli aumenti dell'inflazione derivano dal rincaro delle materie prime che schiacciano i margini per le imprese. Quindi il rialzo dei tassi e quello dell'inflazione non si compensano, ma rappresentano piuttosto due distinti fattori di aumento dei costi».

A parlare è Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria, che attende con realismo la decisione di Francoforte, ma invita a non cadere «nei facili allarmismi» e confida in un «approccio graduale e prudente» da parte della Bce.

Il nuovo orientamento di politica economica non rischia di rendere più difficile l'accesso al credito soprattutto per le piccole e medie imprese?
Noi confidiamo che la Bce adotti un approccio prudente e graduale, tenendo conto di una serie di fattori: la ripresa ancora fragile in molti paesi dell'Area Euro e le politiche di bilancio fortemente restrittive adottate da tutti i Paesi con una sincronia su scala globale mai realizzata dal dopoguerra. Ma anche un aumento dell'inflazione interamente dovuto alle materie prime, che difficilmente provocherà i temuti second round effects, dato che la capacità utilizzata e l'occupazione rimangono a livelli molto bassi. Infine, la crescita degli aggregati monetari e creditizi rimane molto bassa ed è tale da indurre la stessa Bce a ritenere che le pressioni inflazionistiche dovrebbero rimanere contenute nel medio-lungo termine.

Quali sono le criticità del sistema bancario che rendono difficile un pieno sostegno all'attività delle Pmi oggi?
Ci sono problemi congiunturali e problemi strutturali. Sul piano congiunturale, le Pmi soffrono per la continua e progressiva restrizione dei criteri di erogazione del credito. Ciò emerge chiaramente dall'indagine trimestrale della Banca d'Italia presso le banche. A fronte di un aumento della percezione del rischio, le banche dichiarano che aumentano gli spread, in particolare sui prestiti più rischiosi, chiedono più garanzie, accorciano le scadenze.

E sul piano strutturale?
L'impresa spesso non si sente compresa dalla banca, non capisce i sistemi di rating interni o li considera eccessivamente rigidi. Il problema si è aggravato negli ultimi anni per il combinato disposto della creazione di grandi gruppi bancari, innovazione in sé positiva, e dell'introduzione di Basilea 2. Confindustria ritiene che le banche debbano essere selettive e che il credito debba essere "di qualità". Ma la selettività deve coniugarsi con meccanismi e procedure capaci di cogliere le prospettive di crescita delle imprese, di accompagnarle e sostenerle nel loro percorso di sviluppo. Questo è un punto chiave sul quale stiamo lavorando con il sistema bancario.

Cosa devono fare invece le imprese per migliorare il dialogo con le banche?
Le imprese devono essere trasparenti nei confronti degli intermediari: devono saper comunicare le proprie potenzialità di crescita e i piani operativi messi in atto per il raggiungimento dei loro obiettivi di sviluppo. Al tempo stesso devono migliorare la loro struttura finanziaria. Questo richiede scelte difficili di rafforzamento patrimoniale e di riequilibrio delle fonti di finanziamento.

Un altro fronte caldo è rappresentato dalle nuove regole di Basilea 3. Confindustria, insieme agli organismi di rappresentanza industriale degli altri paesi europei, ha chiesto la costituzione di un tavolo per attenuare gli effetti per le Pmi. Quali sono gli obiettivi che intendete perseguire?
Le stime che sono state fatte da diversi organismi sugli effetti delle nuove regole sono molto differenziate. Ma ci sono pochi dubbi sul fatto che ci saranno conseguenze negative sulla crescita del credito. Noi pensiamo che ci sia ancora spazio per attenuare queste conseguenze, almeno sulle piccole imprese. Ci stiamo muovendo con l'Abi sia a livello europeo sia a livello nazionale per assicurare un level playing field ed evitare che, per via di alcune caratteristiche strutturali del nostro sistema, le nuove regole pesino sulle banche e sulle imprese italiane più che su quelle di altri paesi. Vorremmo anche contribuire a scongiurare un'ipotesi che è circolata nei giorni scorsi, non solo in Italia, a fronte delle difficoltà di molte banche ad adeguarsi ai nuovi standard, anche in vista degli stress test: quello di un ingresso dello Stato, o di enti pubblici, nel capitale delle banche. L'intervento pubblico è giustificato come misura temporanea in condizioni di emergenza. Costituirebbe un passo indietro preoccupante nel nostro sistema economico se fosse concepito come misura strutturale. Quali che siano le buone intenzioni di chi propone queste soluzioni, alla fine il rischio è che la politica entri nelle banche. Noi pensiamo che la politica debba uscirne, laddove è ancora presente.
C.Bu.

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