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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 07:52.

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La nuova frontiera tecnologica e commerciale del gas "non convenzionale", quello che si ricava in enormi quantità dalla fessurazione delle rocce. E poi le alleanze con le compagnie petrolifere dei paesi emergenti, Cina in testa. Ed ecco, sul fonte nazionale, il brindisi (non si dice, ma è così) per lo stallo del piano di ritorno al nucleare dopo il drammatico incidente giapponese. Brindisi rinforzato dai segnali delle istituzioni sull'opportunità di allentare i freni sull'estrazione di petrolio e gas in Italia. In tutto ciò il cane a sei zampe ha perfino spazio per fare la faccia buona su un tema su cui aveva opposto un duro no: la perdita del controllo delle infrastrutture di trasporto, e dunque di Snam rete Gas.
Tempo di nuove sfide e di assestamento strategico. Eni se la giocherà al meglio, giura il riconfermato amministratore delegato Paolo Scaroni. Con il neo-presidente cercherà di creare (lo ha fatto con il predecessore, lo aveva fatto all'Enel) buone sinergie.

Bisogna mantenere le promesse di ulteriore sviluppo che Scaroni ha appena fatto agli analisti. Mentre si scommette su un pronto riassorbimento della crisi libica (proprio ieri gli uomini Eni hanno stretto un "pre-patto" di collaborazione con il governo provvisorio degli insorti, all'insegna della continuità delle joint) si vuole incrementare la produzione globale di oltre il 3% al 2014 con un crescita del 5% delle vendite in Italia e in Europa. Confermando la politica di distribuzione dei dividendi. Aiuterà la ripresa della richiesta di metano in Europa, trainata dal superamento della crisi globale e, perché no, dai freni al nucleare.
Ecco la frontiere dello "shale gas", l'estrazione non convenzionale. Immensi giacimenti, è ormai assodato. La rinnovata squadra di Scaroni e Recchi vorrebbe allargare le alleanze mondiali anche con i cinesi. Con i quali c'è un delicato gioco di fioretto: avvicinamenti e competizioni. Con l'ultima vicenda che segna una stoccata a favore di Pechino: la Cnooc, virago petrolifera dagli occhi a mandorla, si è appena rafforzata nel petrolio africano con un accordo da 1,5 miliardi di dollari per 200mila barili di petrolio equivalenti, che faceva gola all'Eni, per rilevare un terzo delle quote di Tullow Oil in tre giacimenti ugandesi nell'area del Lago Alberta.

L'Eni può consolarsi con la raffica di nuove attività di esplorazione e estrazione annunciate quasi giornalmente. Nell'area del vecchio continente: nel mare di Barents norvegese (fino a 250 milioni di barili potenziali), nelle acque inglesi del Mare del Nord (già erogati 1,1 milioni di metri cubi al giorno). E poi più lontano. Nel Golfo del Venezuela con il campo "super giant" di Perla, le cui potenzialità crescono a 450 miliardi di metri cubi. Nel ricostruendo Iraq dove la produzione di Zuibair ha superato i 200mila barili al giorno.
Forti e (promettono) pragmatici. Così nella delicata questione della separazione dalle reti. Dove il Governo italiano ha congegnato una mediazione rispetto alla vecchia idea di imporre all'Eni un distacco proprietario netto (il modello Terna adottato per l'elettricità). L'Eni potrà, se vorrà, assolvere ad una più blanda separazione societaria funzionale, garantendo comunque la neutralità della rete nei confronti di tutti gli operatori. E l'ad Scaroni ha risposto riservandosi persino l'ipotesi più ultimativa: se converrà si venderà.

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