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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2011 alle ore 09:14.

ROMA - La recessione come fattore per far crescere la competitività. Un apparente paradosso ma la crisi è stata per la maggioranza delle piccole e medie imprese italiane come una lezione per guadagnare in efficienza e in innovazione. Il bilancio dei due anni "neri" parla dello sforzo di pianificare meglio le attività, della volontà di investire in innovazione e di programmare nuovi prodotti per ampliare mercati, fatturato e redditività. Se questa è la parte positiva, l'ansia per molte piccole imprese è nella coscienza della sottocapitalizzazione: il 45% non è sicuro di avere capitali sufficienti per sopravvivere in caso di un'altra flessione dell'economia.
Tutto si complica per la difficoltà nell'accesso al credito, anche se le banche spesso non rispondono «no», ma «sì, anche se in parte»: solo il 12% ha ricevuto l'intera somma chiesta; il 32 ne ha ricevuto gran parte. In generale, per il 35% la capacità di accesso ai finanziamenti è peggiorata. Infine, c'è da mettere nel conto il ritardo nei pagamenti. Sono le linee lungo cui si muovono le risposte di un campione di piccole e medie imprese italiane, intervistato, alla fine dello scorso anno, da Forbes Insights.
La ricerca ha inoltre sondato comportamenti e sentimenti delle Pmi di Canada, Singapore, Gran Bretagna, Sud Africa e Cina ed è stata condotta in collaborazione con le associazioni professionali: l'Association of chartered certified accountants (Acca, associazione inglese di contabili), la Certified general accountants association of Canada (Cga-Canada), oltre che in Italia, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Lo studio internazionale, che si basa sulle risposte di 1.777 piccole e medie imprese, di cui il 30% è rappresentata da realtà con meno di 10 dipendenti, è reperibile anche sul sito www.commercialisti.it. «Gran parte delle Pmi intervistate – riassume Giancarlo Attolini, che per il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti si è occupato dello studio – ritiene che sia ormai passato il momento peggiore della recessione ma un numero elevato di imprese afferma di non disporre di liquidità sufficiente a sopravvivere a un'altra crisi finanziaria».
«Si rileva – continua Attolini – che il credito non è utilizzato per finanziare il capitale circolante ma piuttosto per aumentare la capacità produttiva e tende sempre più a essere garantito dai beni personali o dell'impresa, mentre l'investimento nel capitale delle imprese è destinato ad acquisizioni e finanziamento dell'espansione a livello locale e internazionale». Ecco alcune dinamiche relative alle Pmi italiane: una su tre è preoccupata per le incertezze economiche. Le altre spine nel fianco sono la ricerca di nuovi clienti e di finanziamenti (rispettivamente per il 29 e il 25%). Meno della metà delle aziende (il 41%) guarda al 2011 con ottimismo e si attende un incremento del fatturato: per un raffronto, il 77% delle Pmi cinesi si aspetta una crescita dei ricavi, oltre il 70% è il dato delle realtà sudafricane, mentre circa il 50% delle aziende britanniche stima un incremento, anche sensibile.
D'altra parte, appare interessante la percezione del mercato delle imprese cinesi: per il 36% il problema maggiore è trovare nuovi clienti, per il 34% è l'aumento della concorrenza e per il 30% è individuare e fidelizzare personale specializzato. Le Pmi italiane che prevedono una crescita del loro giro d'affari ritengono che una componente essenziale sarà il miglioramento della qualità dei prodotti e dei servizi, insieme con l'aumento delle vendite (il 33%). A maggior ragione la qualità è considerata la chiave di volta dal 70% delle microimprese. I problemi di liquidità di cassa sono particolarmente pronunciate nelle realtà più piccole (il 56%).
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