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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2011 alle ore 10:25.
Il primato di Treviso ha due origini. La prima si chiama innovazione di prodotto, la seconda capillarità del mercato.
Non c'entrano la dimensione aziendale o il numero di imprese presenti sul territorio; a piazzare sul più alto gradino, nel podio della crescita, il distretto delle macchine industriali trevigiano è l'adattabilità degli imprenditori, che negli ultimi anni hanno virato sulla realizzazione ad personam del prodotto per soddisfare maggiormente le esigenze del cliente, e sulla "aggressione" di nuovi e promettenti mercati – dopo la saturazione di quelli tradizionali e il boom di quelli emergenti –.
Ma il fatto che il settore meccanico risulti essere al primo posto per crescita 2010, con una variazione dell'export pari a un più 57,1% (per un totale di quasi 982 milioni di valore), lo si deve anche alla grande vivacità del tessuto economico provinciale, che, fortemente internazionalizzato, ha sentito la crisi in modo più pesante e quindi ha provato ad uscirne con più forza, reagendo più velocemente di altri. «Il dato non mi stupisce – commenta Alessandro Vardanega, presidente di Unindustria Treviso –.
Le nostre aziende sono in fase di recupero grazie al traino dell'export nei mercati emergenti. Ma la crescita del settore meccanico è imputabile anche al modello di distretto, che trascina le realtà locali in una competitività interna che ne aumenta la qualità. E anche all'ingegno e alla creatività dei nostri fornitori». Vardanega, a questo proposito, cita un esempio edificante: «Ci sono aziende specializzate in impianti per tagli particolari dei latterizi; in tutto il mondo si trovano le loro particolarissime macchine».
Il comparto delle macchine industriali consta di circa 800 imprese – gli associati totali ad Unindustria sono 2.200 –, la maggior parte delle quali al di sotto dei 50 dipendenti e con un fatturato annuo che non oltrepassa i 40-50 milioni. «La dimensione è ancora un problema – aggiunge Vardanega – soprattutto per l'eccessivo costo delle materie prime ferrose, che non si può scaricare sul prezzo del prodotto finale a causa dell'alta capacità produttiva della concorrenza».
Chi ha superato il problema della dimensionalità, vede correre maggiormente export e fatturati e investe in ricerca e sviluppo. La Breton di Castello di Godego, 500 dipendenti e un fatturato di 110 milioni nel 2010 (con previsioni di ulteriore crescita nel 2011 del 10-15%), realizza impianti per la lavorazione della pietra naturale e pietra composita; dopo un 2009 nero, in cui il fatturato ha subìto una diminuzione del 25%, ha puntato sulla diversificazione di prodotto e sui nuovi mercati. «Siamo appena tornati da una fiera in Cambogia – spiega l'amministratore delegato Dario Toncelli –. Oggi bisogna essere dappertutto: se si soffre negli Stati Uniti bisogna andare in Arabia Saudita, in Messico, in Brasile. Esportiamo più dell'80% del prodotto e nel contesto attuale bisogna essere più veloci e più bravi degli altri».
La Breton produce macchine ad alta velocità per il settore della stampistica, automotive, aerospazio. Fornisce impianti completi che possono costare fino a 25 milioni, ha un reparto di ricerca all'interno dello stabilimento trevigiano che conta su 40 persone. «Attualmente gestiamo 50 brevetti – aggiunge Toncelli – e ogni anno ne depositiamo una decina. Puntiamo tutto sulla qualità e sulla produzione "in casa", tanto che a settembre apriremo un secondo stabilimento sempre nel Trevigiano, a Vedelago, dove assumeremo 30 persone».
IDENTIKIT
800
Le imprese del comparto
La maggior parte delle Pmi trevigiane delle macchine industriali ha meno di 50 dipendenti
50 milioni
La soglia di fatturato
Il giro d'affari annuo delle Pmi del distretto di Treviso spesso non supera il tetto dei 40-50 milioni di euro
+57,1%
Il balzo
Nel corso del 2010 le macchine industriali di Treviso hanno messo a segno un incremento del 57,1% nell'export
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