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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2011 alle ore 10:19.

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Confindustria Cuneo, la presidente Nicoletta MiroglioConfindustria Cuneo, la presidente Nicoletta Miroglio

L'idea è chiara: «Gli imprenditori che ci credono, chiedono meno tasse, meno spesa, più impresa». Ed è la chiave che Confindustria Cuneo (1.207 aziende socie con oltre 59mila dipendenti) ha seguito per la sua assemblea annuale convocata, ieri, al Castello di Racconigi. Uno studio curato insieme all'Ordine dei dottori commercialisti della "Provincia Granda" del Piemonte punta il dito: nell'ultimo triennio l'incidenza media dell'Irap sulle Pmi del territorio è stata quasi del 93%, una pressione insostenibile.

Tra il pubblico, oltre 400 persone, gente abituata a lavorare sodo e nella riservatezza subalpina: insofferente per la politica che urla, promette e non mantiene, ma legata alle istituzioni e capace di creare. Non a caso i primi minuti sono stati dedicati all'inno di Mameli e a un ricordo misurato di Pietro Ferrero, l'industriale albese prematuramente scomparso in Sudafrica.

La presidente Nicoletta Miroglio non fa sconti: «Rischiamo di usare il retrovisore per guardare avanti. Siamo fermi perché in Italia non siamo stati capaci di predisporre strumenti per valorizzare lo straordinario serbatoio di aziende e capacità imprenditoriale». Il manifatturiero cuneese ha esportato per 5,8 miliardi nel 2010 (+13% sull'anno precedente) mentre la produzione industriale ha registrato nel primo trimestre 2011 un 5 per cento. Uno slancio cocciuto nonostante ritardi inifiniti nelle infrastrutture (da decenni qui si soffre per l'Asti-Cuneo, per definizione l'autostrada incompiuta).

Troppo fisco e poca responsabilità diffusa? Tocca a Paolo Mieli, storico e giornalista di lungo corso, avviare il dibattito: «Margini per riduzioni delle tasse non ce ne sono, non inganniamoci. Non amo questo Governo, ma va riconosciuto che ha fatto molto nella lotta all'evasione. Federalismo fiscale? Costringete i politici a rispettare gli impegni assunti». Dice Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore: «Il debito pubblico è una zavorra infinita. Che si assomma alla percezione fisica del ritardo dell'Italia: pensiamo allo sportello unico, alle infrastrutture, alla burocrazia. Per tornare competitivi bisogna rimboccarsi le maniche, ripartire, crescere, con lo stile che i Ferrero ci hanno testimoniato anche nel loro recente drammatico lutto». Per Alberto Mingardi, economista e direttore dell'Istituto Bruno Leoni di Milano, la strada è segnata: «Il debito ha un effetto depressivo a largo raggio. Incidere sul rapporto Stato-contribuente deve diventare una priorità».

Agli industriali di Cuneo è arrivato un videomessaggio di Emma Marcegaglia, che ha ripreso i temi della recente assise di Bergamo: «Le nostre richieste vanno tutte nella direzione delle grandi riforme strutturali. Meno pressione fiscale su lavoratori e imprese. Ragioniamo sulle rendite finanziarie e sulle aliquote Iva, semplifichiamo le norme. E ci siano crediti d'imposta per chi investe in R&S e s'impegna per mettersi in rete facendo sistema». In conclusione è intervenuto Antonio Costato, vicepresidente di Confindustria con delega al federalismo e allee autonomie: «Finite le bolle, resta la solidità del manifatturiero che va sostenuta. Il nostro Paese è malato, ne usciremo recuperando in periferia la consapevolezza delle nsotre capacità, non con le rendite e dei privilegi».

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