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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2011 alle ore 06:41.

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MILANO
Le ricette sono tante quante le loro fortune all'estero. Nell'ambito delle iniziative dedicate al progetto «Interesse Nazionale», Aspen Institute Italia li ha scovati ovunque: sono manager, ricercatori, scienziati, uomini di sport, musicisti italiani che hanno successo all'estero. È il network delle eccellenze del nostro Paese in trasferta (anche se molti vorrebbero rientrare, ma chissà).
Dice Simona Milio, 35 anni, direttore dell'Economic and social cohesion laboratory alla London School of Economics: «Dopo la laurea continuavano a ripetermi di aspettare i concorsi, i bandi, il mio turno: ho fatto la valigia e sono emigrata a Londra». Oggi è una super esperta di fondi strutturali e cooperazione, e benedetta quella decisione di andare a cercar fortuna.
Anche Aspen Institute non ha aspettato e ha scovato la crema degli emigranti italiani perché non ha più senso parlare di fuga di cervelli. Quel che conta ha detto Mario Monti a un recente incontro dell'Aspen è che «questi cervelli non stacchino la spina del loro rapporto con l'Italia»: si creerà così una condivisione di esperienze da riportare anche in Italia, di cui pure l'Italia potrà beneficiare. È nell'interesse nazionale che si vogliono far comunicare questi emigranti di alto profilo.
Così, ad esempio, Simona Milio ha avviato un progetto con l'Università di Palermo per rendere più facile agli studenti lo scambio fra questa istituzione e l'Lse; Marisa Roberto, scienziata che lavora a San Diego e che è stata premiata da Barack Obama fra i migliori cento ricercatori Usa, organizza ogni anno a Volterra (3-6 maggio), dove è nata, un convegno internazionale sulla dipendenza da alcool e stupefacenti, suo ambito specifico di studio.
L'eccellenza si costruisce a partire dagli studi in Italia: «La preparazione di base di licei e università italiani è ottima, poi, ahimè, la carenza di meritocrazia ci porta all'estero», dice Francesca Casadio, 38 anni, una laurea in Chimica al Politecnico di Milano e oggi responsabile scientifica del laboratorio dell'Art Institute of Chicago, il secondo più grande museo americano per estensione. La ricetta di Francesco Stellacci, 37 anni di Bitonto, docente a Losanna di scienze dei materiali, è un'altra ancora. Ben vengano gli studi in Italia ma poi bisogna aprirsi al mondo: «Dieci anni fa i cinesi, appena arrivati in Usa, chiedevano come ottenere la green card, ora non più perché vogliono tornare in Cina il prima possibile; oggi ricevo decine di lettere di liceali italiani che mi chiedono la stessa cosa: cercano il confronto col mondo giovanissimi».
Tante strade, anche quella di Fabio Scano, cagliaritano, responsabile dell'ufficio dell'Organizzazione mondiale per la sanità a Pechino per la cura della tubercolosi: «Ogni giorno, con le armi della diplomazia, bisogna cercare di dialogare con una cultura così diversa da quella occidentale». Oppure conta il suggerimento di Nicola Bellomo, primo consigliere della delegazione della Ue presso l'Unione Africana ad Addis Abeba: «Come i colleghi stranieri abituarsi al pensiero critico: non dare mai nulla per scontato, per acquisito da sempre».
Come ha fatto Aspen Institute nel varare l'iniziativa che, sotto la guida di Giulio Tremonti e Cesare Romiti, coinvolge i protagonisti italiani all'estero. Tra gli altri, ci sono Antonio Belloni, direttore generale di Lvmh, Lorenzo Thione di Microsoft, il direttore d'orchestra Gianandrea Noseda, l'archeologo Paolo Matthiae, Ornella Barra leader della Pharmaceutical Wholesale Division, ricercatrici quali Cristina Alberini (New York) e Maria Luisa Gorno (San Francisco). Tante strade, tanti volti, tante strade in ascesa con un'unica ricetta: studiate, studiate, studiate, poi il mondo e la meritocrazia (là dove vive) vi premieranno.
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