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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2011 alle ore 06:41.

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MILANO
Sale la febbre dei prezzi internazionali delle materie prime che velocemente si sta scaricando sulla spesa nel carrello. Oramai sfiorano la tripla cifra gli aumenti del grano, del mais e del caffè. «È inutile opporsi – osserva Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare – prima o poi si scaricheranno sul consumatore. Anche i produttori, e non solo i distributori, fanno di tutto per tenere in pancia almeno una parte di questi aumenti. Ma, onestamente, sono di una tale entità che non è possibile tenerne tanta. L'inflazione alla produzione è salita al 5%, speriamo però che, nella seconda parte dell'anno, le tensioni sui prezzi internazionali si attenuino».
Difatti negli ultimi 12 mesi, i prezzi delle materie prime nazionali sono aumentati tra l'80 e il 90% per il grano tenero e duro, del 70% per il mais e del 45% per il risone; i prezzi mondiali invece sono schizzati del 72% per il caffè, del +35% per lo zucchero e del 26% per grassi (destinati ai mangimi) e oli. Prezzi delle Borse merci lontani dalla spesa quotidiana? Per niente. Il boom dei prezzi è già una realtà nonostante la presunta frenata dei distributori. Nel mese di marzo, nella distribuzione moderna, Nielsen ha rilevato un colpo di acceleratore: +11,7% del burro, +10,1% dello zucchero, +9,1% di frutta e verdura, +9% del caffé, +5,6% dei formaggi e così via. Quasi fermi soltanto i prodotti per la cura della casa e della persona.
Presidente Ferrua, gli aumenti sono già nei fatti. Quella dei distributori che frenano le pretese dei distributori è una favola.
Al rally delle commodity non possiamo opporci. Non ne abbiamo la forza. Possiamo solo cercare di ridurre il disagio per il consumatore. Ma è inevitabile che gli aumenti si ribaltino sul consumatore. La distribuzione non può fare muro.
Le catene sostengono che bloccano alcune richieste di aumento e limitano gli aumenti con l'efficienza. É così?
Solo il fatto che dicano che hanno respinto una parte degli aumenti significa che quelli li abbiamo metabolizzati noi, con la ricerca di maggiore efficienza interna. I sacrifici li fanno sia le imprese produttrici sia la distribuzione. Ora si nota qualche segnale di indebolimento delle commodity, per esempio nello zucchero: se si diffondessero potremmo, grazie al gioco delle scorte, contenere l'inflazione al 3%.
L'inflazione non riconosciuta genera tensioni tra industria e distributori. Si scarica anche sul listing fee?
Di questo preferisco non parlare. Sono aspetti che riguardano la negoziazione tra le parti. Come associazione preferisco rimanere estraneo.
In 12 mesi sono stati accordati sconti e promozioni al consumatore per 4,3 miliardi: i distributori dicono di sostenerne i costi. Le risulta?
Ci sono vari modi a cui la distribuzione moderna ricorre per spalmare anche questi costi.
Gli istituti rilevano che c'è una percentuale rilevante di inflazione derivante dall'inefficienza delle catene: dai 5 ai 6 punti percentuali.
Questo gap lo riconoscano gli stessi distributori. Anche se bisogna considerare le differenze tra un anno e l'altro. Oppure le differenze tra gli operatori prevalentemente presenti al Sud o al Nord.
Un altro paradosso dell'inflazione è che il Sud più povero debba pagare prezzi più alti per il grocery.
Questo dipende dalla scarsa presenza della distribuzione nel Mezzogiorno e quindi dal basso livello di concorrenza.
Qual è la vostra posizione sull'indagine conoscitiva promossa dall'Antitrust sul presunto ruolo dominante della Gdo?
Il prossimo 20 aprile avremo un'audizione e in quella sede consegneremo i questionari raccolti dai nostri associati.
L'anno scorso l'export ha salvato l'industria alimentare e quest'anno?
Si ripeterà lo stesso copione: mercato interno debole e mercato estero vivace. Ci sono ancora margini di crescita per l'export: siamo al 17% del fatturato. La media dell'Europa è del 20% ma alcuni paesi arrivano anche al 22.
Oggi a Parma si apre Cibus Tour: quale bisogno va a soddisfare questa fiera?
Vogliamo avvicinare il consumatore al mondo dell'industria alimentare, e non solo attraverso la distribuzione moderna. Vogliamo che veda da vicina la qualità del prodotto italiano e ne riconosca il valore.
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