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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2011 alle ore 07:40.

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di Franco Sarcina e Serena Uccello

Se in passato avessimo diversificato maggiormente sul nucleare e sul carbone oggi avremmo tariffe elettriche inferiori in media di almeno tre centesimi di euro per ogni chilowattora.

Stimano gli esperti di Nomisma Energia. Questi tre centesimi in più, rapportati ai 330 miliardi di kWh di consumo annuo determinano oggi un maggiore costo di quasi 10 miliardi l'anno. Costo spalmato sulle imprese e famiglie (si veda «Il Sole 24 Ore» di 9 aprile del 2011).

Si tratta di un'analisi che ora, all'indomani della decisione del Governo di stoppare una politica energetica focalizzata sul nucleare, sembra coagulare le preoccupazioni delle imprese cosiddette energivore: costituisce il filo conduttore delle reazioni con cui è stato accolto questo cambio di rotta.

«Che fosse necessario un momento di riflessione dopo quanto accaduto in Giappone era nelle cose, anzi lo consideravamo necessario - dice Enrico Frigerio, presidente Assofond - tuttavia non ci aspettavamo questo blocco. Uno stop che non comprendiamo, soprattutto per il fatto che arriva dopo un balletto di due mesi circa sulle rinnovabili, di cui già noi subiamo nella nostra bolletta un aggravio dei costi del 10 percento. Siamo d'accordo - prosegue Frigerio - che debba esserci un momento di analisi per capire quale sia il modo migliore per realizzare il nucleare, ci sorprende questo cambio brusco».

Anche per Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica, «quello che è successo suggerisce doverose riflessioni». Riflessioni che però non devono tradursi in ulteriori indugi. Servono cioè decisioni e soprattutto decisioni veloci: «Occorre - incalza Manfredini - ipotizzare e mettere i campo una serie di alternative possibili. Penso, ad esempio, ai rigassificatori, sulla cui realizzazione si è invece rallentato negli ultimi tempi». In altre parole, è palese l'urgenza «che gli investimenti vengano dirottati su altre fonti». Quali? «Gli impianti di stoccaggio e le energie alternative». Opzioni diverse ma accomunate dalla necessità di non rischiare, nel medio termine, di subire le conseguenze dello stop al nucleare.

Insomma «bisogna valutare strade alternative».
Pure per Giuseppe Pasini, presidente di Federacciai, «un ripensamento sul nucleare, dopo i fatti di Fukushima, è doveroso, anche da parte dei nuclearisti più convinti, quale sono io per esempio». Tuttavia, prosegue, «queste decisioni non vanno prese emotivamente. Sono un po' sconfortato - continua infatti Pasini - nel vedere che quando siamo sotto elezioni il tema del nucleare viene affrontato come se si parlassero due tifoserie contrapposte di una partita di calcio».

Pasini sottolinea inoltre l'aspetto tecnologico: «Teniamo presente – dice - che la centrale nucleare giapponese è vecchia, mentre qui da noi evidentemente costruiremmo centrali molto più moderne, che risolverebbero inoltre in gran parte anche il nodo delle scorie. Il problema è che non vengono fatte scelte dettate da analisi approfondite ma dalla propaganda politica. E non è questione di "destra" o di "sinistra". Di fatto, in Europa abbiamo tantissime centrali. Ripeto è giusto avviare una riflessione, ed una fase di ripensamento è opportuna, ma poi bisogna arrivare a conclusioni oggettive, senza lasciarsi prendere dall'emotività».
E Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta. «Il nucleare rappresenta in Europa un'importante fonte energetica e una leva competitiva per i nostri concorrenti.

La mancanza di questi impianti in Italia ha finora rappresentato un grosso limite per la politica energetica in un'ottica di necessaria diversificazione degli approvvigionamenti soprattutto per un settore energy intensive come il cartario».

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