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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2011 alle ore 12:48.

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La genetica nel vino: il Dna è garante della biodiversitàLa genetica nel vino: il Dna è garante della biodiversità

La scienza penetra sempre più nella magia del vino, spiegando fenomeni che un tempo erano appannaggio di figure mitiche che oggi chiamiamo enologi e che di fatto erano più poeticamente cantinieri. Oggi il più delle volte gli studi confermano le intuizioni di un sapere empirico tramandato per secoli, come nel caso della genetica, che in questo periodo, tra le branche scientifiche, ha guadagnato la ribalta nel mondo del vino.

I progressi degli studi sul Dna della vite hanno messo in evidenza le differenze tra i vitigni, anche se raramente, per adesso, raggiungono risultati approfonditi in merito alle specifiche "subvarietali", che riguardano cioè gli adattamenti di una medesima famiglia di vitigni ai loro territori elettivi. «I nostri esperimenti e le analisi su diversi vitigni cominciano a chiarire affascinanti realtà», ci ha scritto Antonio Calò, presidente dell'Accademia della Vite e del Vino. I cloni possono esser ben distinti tra loro e si è delineato un interessante legame tra i biotipi e la zona d'origine.

Certo, a chi desidera semplicemente bersi un ottimo Sangiovese toscano, un Chianti ben fatto, questo linguaggio può suonare un po' fantascientifico. In realtà sono ricerche in atto da decenni, che stanno subendo una rapida accelerata, e che consentiranno non solo di migliorare notevolmente il prodotto, ma anche di accentuarne la tipicità.

In un primo lavoro pubblicato sulla rivista Molecular Biotechnology sono stati analizzati diversi biotipi coltivati in vari Paesi della Garnacha spagnola che è denominata Grenache in Francia e in Italia Alicante e Gamay perugino, al centro, Cannonau in Sardegna e Tocai rosso a Vicenza. I più recenti studi del gruppo facente capo al CRA-VIT (l'ex Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano) hanno inoltre cercato le specificità di biotipi di vari vitigni (ad esempio la Malvasia nera o ancor meglio Primitivo, che ha parentele dirette anche negli Usa dove si chiama Zinfandel) che si distinguono non solo macroscopicamente ma anche geneticamente da zona a zona, pur appartenendo alla medesima famiglia.

Conclude il prof. Calò in un articolo sul tema di prossima pubblicazione sulla rivista Civiltà del bere: «È come se tra viticoltore e varianti di vitigni, non sempre percepibili ma scritte nel Dna, si sia stabilito un dialogo che dona un senso e un valore scientifico al concetto di tipicità, importante da seguire, dalla moltiplicazione dei vitigni fino alla loro coltivazione e vinificazione delle uve. Tipicità che sarebbe dannatamente grave perdere in un sistema particolare, unico e sensibile come quello della vite e del vino».

Tra i vari studi che stanno proliferando in campo genetico, ne è stato presentato uno dedicato a un vino oggi particolarmente amato nel mondo, dal titolo "Nella genetica il segreto dell'Amarone" condotto dal Gruppo Tecnico Masi in collaborazione con l'Università di Verona e l'Institut des Sciences de la vigne et du vin di Bordeaux – Aquitaine.
Si tratta di un'indagine dove sono state messe a confronto durante la fase di appassimento nove diverse varietà: Corvina, Oseleta, Merlot, Cabernet, Syrah, Marzemino, Sangiovese, Chardonnay e Garganega. E questo al fine di valutare, attraverso le più moderne e sofisticate analisi, se la tecnica dell'appassimento sia applicabile in senso qualitativo anche a varietà diverse dalla Corvina (l'uva principe nell'Amarone).

In una prima fase della ricerca il Gruppo Tecnico Masi ha analizzato i diversi campioni valutando sia i parametri fisici (come il calo del peso dell'uva, il peso medio della bacca e lo spessore della buccia) sia quelli chimici (grado zuccherino, acidità totale, acido malico, pH, antociani potenziali, ecc.). Ha quindi suddiviso le varietà in tre differenti macrocategorie, dove la Corvina è risultata la varietà con una minor velocità di appassimento (100 giorni).

Successivamente il Centro di genomica funzionale vegetale dell'Università di Verona ha condotto un'analisi trascrittomica e metabolomica delle varietà Corvina, Cabernet Sauvignon e Syrah, una per ogni macrocategoria; cioè ha studiato l'attività dei geni nelle varie fasi dell'appassimento cercando di attribuire a ogni gene un'espressione (funzione) specifica. Così si è scoperto che, dal taglio del tralcio al termine dell'appassimento del grappolo, le tre varietà modulano (cioè attivano) il 10% di tutti i loro geni. La Corvina, inoltre, modula i suoi geni con maggior intensità rispetto alle altre e attiva alcuni geni anche dopo 90 giorni di appassimento. Le differenze tra le varietà dipendono, quindi, dalla diversa velocità con cui esse appassiscono.

«L'appassimento non è dunque un semplice fenomeno di "concentrazione"», ha detto Raffaele Boscaini, che dirige il Gruppo Tecnico Masi, «ma c'è ben altro dietro. Si tratta di una fase estremamente attiva sia dal punto di vista genetico sia da quello metabolico. Ed è quello che stiamo cercando di scoprire con questo studio, che si configura come il primo atto di una futura e più approfondita analisi».

Civiltà del bere

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