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Questo articolo è stato pubblicato il 25 aprile 2011 alle ore 18:09.

L e sentenze di Torino e di Modena rischiano di infiammare il confronto sulle relazioni industriali. Secondo le pronunce, le imprese aderenti a Federmeccanica possono applicare il contratto dei metalmeccanici firmato nel 2009 con Fim e Uilm solo ai lavoratori iscritti a queste organizzazioni sindacali. Queste imprese devono invece applicare nei confronti degli iscritti alla Fiom il Ccnl firmato nel 2008 con la stessa Fiom; inoltre, devono chiedere ai lavoratori non iscritti a nessun sindacato di scegliere tra i due diversi contratti collettivi.

Le tesi su cui si fondano le sentenze sono discutibili. Viene negato carattere migliorativo al contratto del 2009 - nonostante questo abbia introdotto significativi incrementi economici (i famosi 110 euro) - in quanto alcune clausole dell'accordo sarebbero peggiorative rispetto alla precedente disciplina (le modifiche al part time, che pure non sono state applicate). Più in generale, le sentenze affermano che la disapplicazione del contratto del 2008 è comunque illegittima, perché comporta la negazione del ruolo sindacale della Fiom.

Queste pronunce daranno luogo a notevoli problemi operativi. Nella stessa impresa dovrà essere applicato un contratto collettivo (quello firmato nel 2009) a una parte di lavoratori (gli iscritti a Fim e Uilm), mentre dovrà essere applicato un altro contratto collettivo (quello firmato nel 2008) agli iscritti alla Fiom; ancora più complessa sarà la gestione dei dipendenti non iscritti a nessun sindacato, per i quali si dovrà decidere caso per caso, secondo le opzioni individuali. E si verificheranno alcuni paradossi: seguendo alla lettera il ragionamento delle sentenze, gli iscritti alla Fiom dovrebbero restituire gli aumenti riconosciuti dal contratto collettivo del 2009.

Le tesi formulate nelle due sentenze, se trovassero seguito in altri contenziosi, potrebbero anche compromettere la tenuta di molti accordi separati firmati negli ultimi anni, a partire dagli accordi interconfederali che hanno riformato il modello contrattuale. Se si applicassero - con gli adattamenti del caso - i principi affermati nelle due sentenze, si potrebbe giungere alla conclusione che, nei prossimi rinnovi contrattuali, andrebbero aperti due tavoli diversi di contrattazione: uno retto dalle regole riformate nel 2009, e un altro governato solo dal Protocollo del 1993. Per ora questo scenario non è attuale, ma se la gestione dei conflitti sindacali resterà affidata ai Tribunali, non si può escludere che si concretizzi.

È urgente, quindi, riportare il conflitto fuori dalle aule di giustizia; la strada per raggiungere questo obiettivo dovrebbe passare per una riforma, concertata fra le parti sociali, delle regole della rappresentanza sindacale. Se i contratti collettivi si trasformano in un terreno fragile come l'argilla - e le sentenze di Modena e Torino danno questa sensazione - la competitività del sistema, già compromessa da mille problemi, rischia di subire un colpo decisivo.

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