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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2011 alle ore 06:41.

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(Illustrazione Marco Scuto)(Illustrazione Marco Scuto)

Fino a qualche anno fa a far perdere il posto era la lingua lunga. Una risposta sgarbata al capo, o un commento acido al collega invidioso e spifferone e addio stipendio. Oggi, nell'epoca degli user generated contents, basta un post di troppo sul libro delle facce.

«Il nuovo ad. prende quattromila sterline l'ora, io sette. Non mi sembra giusto". Licenziata. «Vendono carne scaduta, attenzione soprattutto al pollame». Licenziato. «Il mio lavoro è noioso». Licenziato. "Se anche tu, come me, dopo una giornata in Danieli sogni il barettino a Santo Domingo". Licenziata. La lista degli utenti che si sono giocati la carriera con i social network è lunga. Secondo uno studio della società di sicurezza Proofpoint, l'8% delle aziende Usa con più di mille dipendenti ha mandato a casa un dipendente per i suoi sfoghi su Facebook.

Stephanie Bon, 37 anni, dipendente della Lloyds Banking Group, è stata licenziata in tronco per l'ironia con cui ha commentato l'ingresso in azienda del manager Antònio Horta Osòrio, uomo, appunto, da quattromila sterline l'ora. Stessa sorte per Kimberly Swann, dipendente della Ivell Marketing & Logistics Ltd, secondo cui il suo compito in azienda era oltremodo "noioso".

E ancora. In Svizzera, una dipendente di un'agenzia di assicurazioni aveva preso un permesso perché la sua forte emicrania le impediva di svolgere il suo lavoro al computer: peccato che il suo capo l'abbia beccata a postare su Facebook. Licenziata in tronco.
In Italia l'autogoal ha colpito Sara Amlesù, dipendente della Danieli, a causa di un paragone fra la sua stressante vita in ufficio e il sogno di un chiosco su una spiaggia caraibica.

Stesso scivolone per un addetto di un supermercato di Trento.
La vicenda inizia nel marzo del 2010, quando l'azienda che gestisce il superstore decide il licenziamento dopo aver letto la frase, «vendono carne scaduta, attenzione soprattutto al pollame». L'interessato aveva sostenuto di non essersi mai iscritto al social network e la questione è dunque finita in tribunale, dove i giudici hanno dato ragione all'azienda, parlando di indizi «gravi, precisi e concordanti».

Parole "fuori posto" e immagini ancor più compromettenti. Che a volte sfociano nel vero e proprio reato, come è successo all'ospedale Misericordia e Dolce di Grosseto, dove alcuni sanitari, un medico e tre infermieri, sono stati immortalati mentre scherzano e compivano atti goliardici nel reparto di terapia intensiva. C'era chi si era coperto da bende, chi fumava e chi rideva e scherzava incurante del fatto che proprio al suo fianco c'era chi stava rischiando la vita.
La vicenda è stata portata alla luce per primo dal Corriere di Maremma che ha pubblicato alcune delle immagini segnalate da una lettrice - che le aveva scoperte per caso in rete - indignata soprattutto per la delicatezza del reparto in questione.

E mentre sui forum il dibattito fra colpevolisti e innocentisti si scalda, la giurisprudenza - come spesso accade sulle controversie che riguardano la rete - arranca. «La questione è complessa - spiega Francesco Rotondi, socio fondatore dello studio legale LabLaw - perché, senza necessariamente arrivare al licenziamento, l'uso del web 2.0 sul posto di lavoro tocca il tema dei controlli sull'attività lavorativa, vietati nel nostro ordinamento».

Installare strumenti di controllo sulla rete aziendale è infatti consentito, in base a una norma contenuta nello Statuto dei lavoratori del 1970 e alla legge sulla privacy, solo per necessità di tipo organizzativo o per la protezione del patrimonio aziendale. «Il controllo, se ci deve essere - prosegue Rotondi - deve dunque essere palese e soprattutto condiviso, come obiettivo comune all'intera comunità aziendale».

L'azienda dunque non può licenziare chi passa il segno su Facebook? «Per porre in essere questo tipo di controlli - conclude l'avvocato - è necessario un accordo sindacale. Questo tuttavia non significa che i dipendenti siano immuni, poiché, secondo la legge, tutte le occasioni attraverso le quali si può verificare un utilizzo improprio della strumentazione aziendale possono dar luogo poi a eventuali provvedimenti disciplinari». Fino appunto al licenziamento. Meritato o meno.

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