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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 06:40.

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MILANO
Imprese dell'agroalimentare a tutto export: quest'anno si dovrebbe crescere del 10-11%, come nel 2010. Le imprese ci credono, anche per bilanciare la debolezza del mercato domestico, ed è un po' l'aria che si respira nel salone milanese dell'alimentazione Tuttofood (che oggi chiude i battenti), molto frequentato dai buyer esteri.
«Si ripeterà lo stesso copione – sottolinea il presidente Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare – il mercato estero rimane estremamente sensibile alle eccellenze italiane. E ci sono ancora ampi margini di crescita per il made in Italy: siamo al 17% del fatturato contro una media europea del 20%. E punte del 22-24%» di francesi e tedeschi che, grazie alle grandi catene della distribuzione – come Carrefour, Auchan, Metro e Rewe – riescono a veicolare i prodotti nazionali.
In questo primo scorcio di 2011 tirano sui mercati esteri vino, formaggi e latticini, poi frutta, pasta (anche fresca), olio e salumi. In Italia invece battono la fiacca moltissimi prodotti, compresi quelli base della dieta italiana. Secondo le rilevazioni di Ismea, nel primo trimestre del 2011 le quantità di prodotti alimentari sono scivolate del 3,6%, con punte dell'8,7 per la frutta, del 7% per i prodotti ittici e il pane, del 6% per i lattiero caseari e del 5% per le carni bovine. «Le famiglie italiane – aggiunge Ferrua – hanno prima sostituito i prodotti con altri più economici ora rinunciano a consumare. In questo quadro mi sembra insensato pensare ad aumenti dell'Iva per sgravare altre imposte. Sarebbe il colpo di grazia per un settore che galleggia grazie alla ricerca esasperata dell'export».
«Il nostro food – conferma Vincenzo Montuori, ad della dolciaria torinese Caffarel – ha un grande futuro, tuttavia esportare per le Pmi significa individuare distributori affidabili che vanno poi formati. Nel caso del cioccolato è un esercizio tutt'altro che semplice educare un russo o un cinese». Barra sull'estero anche alla De Cecco che però rilancia sul mercato domestico con il prodotto biologico e la pasta di Kamut. «Nel primo quadrimestre – esordisce Luciano Berardi, direttore commerciale di De Cecco, nello stand allestito a Milano a Tuttofood – i ricavi sono cresciuti del 10%, grazie anche a driver come l'Est e il sud America. Ma il nostro budget è di arrivare al 12%, come l'anno scorso». All'estero De Cecco è presente in tutta la ristorazione di livello mentre nel retail ha recentemente corretto il prezzo posizionandosi «sempre nella fascia premium – aggiunge Berardi – ma "accessibile"».
«L'estero è sempre ricettivo – conferma Maurizio La Marca, contitolare del Caseificio Tre Stelle di Eboli –, esportiamo il 50%, ma l'Italia continua a rimanere difficile, anche perchè la mozzarella di bufala è considerata un prodotto di lusso».
«In Italia – interviene Gilberto Cappellin, ad di Emmi Group – i consumi si spingono con le promozioni: per esempio, un cliente della Gdo che solitamente mi chiede 200 cartoni in questi giorni, con l'avvio di una promozione, ne ha ordinati 7mila. Oppure è necessario avere un rapporto qualità prezzo eccellente, come noi». Il gruppo, che controlla due stabilimenti, produce yogurt a marchio Trentinalatte e stracchino.
«Quest'anno contiamo di crescere del 15% – osserva Maurizio Vezzani, ad della milanese Zini Alimentari, specializzata in paste fresche surgelate – grazie anche ai nuovi mercati. Ma allestire un network commerciale all'estero è un esercizio difficile, anche ricorrendo alle reti d'impresa. Servirebbe di più la presenza delle istituzioni». E anche «un retail più coraggioso in Italia – interviene Roberto Gusmaroli, dg di Saporitalia, operante nelle paste fresche e nel bakery – come succede all'estero. Ci vorrebbe qualcuno in grado di dare una scossa al settore». Quest'anno Saportitalia dovrebbe balzare da 30 a 40 milioni di ricavi, una crescita trainata dall'export «e dalla voglia – conclude Gusmaroli – dei consumatori stranieri di assaggiare cose nuove».
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