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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 11:42.

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Acquisti ai magazzini Carrefour di Shangai (Afp)Acquisti ai magazzini Carrefour di Shangai (Afp)

SHANGHAI – Una lunga coda di massaie, stoica e paziente, se ne sta fuori dal Carrefour per acquistare olio e saponi con i buoni sconto. «I prezzi aumentano a vista d'occhio, ben più di quanto dica il Governo. Non ci resta che arrangiarci come possiamo per tirare la fine del mese», si lamenta una signora spingendo un carrello colmo di detergenti. «Dal Capodanno Lunare a oggi, il prezzo del pesce è salito di quasi un terzo» dice un'altra casalinga rincarando la dose.

L'inflazione non concede tregua al Governo cinese. Anche ad aprile, l'indice dei prezzi al consumo ha segnato un aumento su base annua del 5,3%. Si tratta di un dato leggermente inferiore al mese precedente, quando l'inflazione si era portata al 5,4% toccando il livello più alto degli ultimi 32 mesi, ma superiore alle stime degli analisti che si attendevano una battuta d'arresto più marcata nella corsa dei prezzi.

È vero, ad aprile i corsi dei generi alimentari, i principali responsabili delle spinte rialziste che dalla scorsa estate in poi hanno mandato alle stelle il costo della vita oltre la Grande Muraglia, hanno registrato una lieve flessione: +11,2% contro un +11,7% di marzo. Ed è anche vero che altri dati comunicati ieri da Pechino segnalano un timido raffreddamento della bollente congiuntura cinese: prezzi alla produzione +6,8% contro il 7,3% di marzo; produzione industriale +13,4% contro +14,8%; vendite al dettaglio +17,1% contro +17,6%; base monetaria (l'aggregato M2) +15,3% contro 16,5% del mese precedente.

Tuttavia, sarebbe prematuro affermare che l'inflazione ha iniziato a battere in ritirata. Per parlare di un'inversione di tendenza servirebbe una stringa ben più lunga e convincente di numeri positivi. Ciò significa che Pechino dovrà attendere almeno fino all'estate per tirare un bilancio della lotta senza quartiere ingaggiata dallo scorso autunno in poi contro l'inflazione. Un'inflazione che la nomenklatura, memore delle esperienze passate e consapevole della fragilità sociale del paese, considera oggi il nemico pubblico numero uno dell'ordine e della stabilità.

In questo quadro, vista e considerata l'entità della minaccia, il Governo non starà certo ad attendere passivamente lo sviluppo degli eventi, ma continuerà a muoversi su quattro fronti per arginare la corsa dei prezzi.
Il primo è quello monetario, sul quale gli analisti si attendono ulteriori giri di vite del credito nei prossimi mesi, sia sotto forma di nuovi rialzi della riserva obbligatoria che di altri aumenti del costo del denaro.

Il secondo è quello delle aspettative d'inflazione che, attivando un perverso meccanismo psicologico, alimentano la spirale rialzista dei prezzi. «I nostri listini estivi scontano già abbondantemente l'inflazione attesa nei prossimi mesi», spiega il dirigente di una multinazionale alimentare. Come ha detto più volte il premier Wen Jiabao, il Governo deve produrre il massimo sforzo per rompere questa spirale viziosa.

Il terzo è il controllo e la diversificazione delle riserve valutarie. Nel primo trimestre 2011 il tesoretto in moneta pregiata cinese è lievitato a 3.045 miliardi di dollari (+197 miliardi rispetto al 31 dicembre 2010). Questa enorme massa di valuta in ingresso contribuisce alla creazione di nuova liquidità, perché per assorbire ogni dollaro che entra nel paese la banca centrale deve stampare 6,4 yuan. Così, sebbene la Pboc si prodighi quotidianamente per "sterilizzare" gli introiti di valuta estera, l'offerta di moneta continua a lievitare spingendo verso l'alto l'inflazione.

Il quarto è quello su cui Pechino ha minor poter d'intervento: l'inflazione importata con cui la Cina si trova a fare i conti per effetto dei suoi massicci acquisti di energia e materie prime sui mercati mondiali. Anche su questo fronte, negli ultimi giorni è arrivato qualche timido segnale confortante. Ma per ora anche questo è solo un segnale.

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