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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2011 alle ore 09:38.

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La conclusione è sempre la stessa, da anni: l'Italia resta indietro. Sembra una condanna; ma non è così, non è un destino inesorabile: la Germania lo mostra senza equivoci, dopo aver recuperato le insufficienze di un sistema un tempo "malato" e adattato al nuovo mondo e alla concorrenza internazionale anche i settori più tradizionali, che sono quasi tornati ai livelli pre-crisi.

In Italia mancano invece segnali che lascino sperare, se non in una rinascita, in una ripresa solida. Non illudano i dati su fatturato (+2%) e ordini (+8% mensile!) di ieri: sono positivi, come non se ne vedevano da tempo - e i numeri sono numeri - ma non permettono di parlare di una nuova tendenza. Un singolo voto, i ragazzi lo sanno, non garantisce una promozione. Soprattutto se le materie sono "secondarie"; e fatturato e ordini, in un certo senso, sono dati "meno rilevanti". Entrambe le statistiche sono infatti molto variabili da un mese all'altro, e ricavarne una tendenza è poco agevole. Esasperano poi movimenti: sia nelle fasi di crescita che in quelle di calo sono più veloci della produzione. E alla fine, è solo questa che conta: fa astrazione dall'inflazione - mentre fatturato e ordini sono calcolati "a prezzi correnti" - ed è una delle fondamenta del Pil.

In ogni caso i due dati di ieri, posti in prospettiva, non rivelano exploit: le tendenze di fatturato e ordini sono ancora inferiori del 9% e del 14% rispetto al livello massimo pre-crisi, raggiunto intorno a metà 2008; mentre quella della produzione è il 18% più bassa del picco di metà 2007. È tanto, nei numeri; tantissimo nell'occupazione, nella produttività, nel reddito. La strada per tornare al "punto di partenza" è quindi ancora lunga.

Le analisi del Fondo monetario internazionale, del resto, non lasciano spazio a grandi speranze: indicano che nel 2015 il Pil sarà più basso dell'11-15% di quello che si sarebbe potuto raggiungere "senza la crisi". Le pessimistiche indicazioni degli ultimi tempi - quelle sul Pil (+0,1% nel primo trimestre), sulla produzione (-0,1% trimestrale), le previsioni dei centri studi e degli economisti - non sono ancora smentite. Purtroppo.

Solo guardando al microscopio è possibile cogliere qualche movimento positivo negli ordini che - con tutti i loro limiti - hanno un valore segnaletico, perché si proiettano nel tempo: preludono alla produzione futura. La dipendenza dai prezzi falsa un po' gli andamenti, ma in alcuni settori i trend hanno già superato i livelli pre-crisi: il settore delle calzature, per esempio, ha superato il picco del 2008 di un 4,5% circa, e così hanno fatto gli articoli di carta e cartone (+2,6%) e i metalli per l'edilizia, mentre alcuni farmaci di base sono ben oltre il massimo d'inizio 2007. I saponi e detergenti sembrano intanto aver conosciuto una fase di difficoltà relativamente modesta, e le commesse continuano a crescere. In nessuno di questi settori, però, la produzione in volume è tornata ai livelli precedenti la recessione.

Solo quando è in gioco la domanda estera qualche (piccola) cosa sembra muoversi. Qui si ritrovano, al di là dei livelli pre-crisi, i settori della pelle e delle calzatura, della carta e dei metalli per l'edilizia, ma anche e le macchine d'impiego generale. Oltre alla chimica di base, l'unico settore - con l'agricoltura e l'acqua - che ha "rivisto la luce", superando la recessione anche nei trend dell'export. È ancora poco, però: il resto del Paese continua a mancare all'appello.
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