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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2011 alle ore 14:37.

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Vladimir Putin dice che siamo dei teppisti, il Brasile accusa gli Stati Uniti di essere impegnati in una «guerra valutaria» e i cinesi si comportano con la consueta amabilità.
Ma che cosa sta succedendo sulla scena valutaria internazionale?
Non so perché non mi sia venuto in mente prima di metterla in questi termini (e non so se qualcun altro stia dicendo la stessa cosa), ma siamo di fronte a un classico esempio dell'impossibile trinità mundelliana, nota anche come il «trilemma» del modello Mundell-Fleming, cioè l'impossibilità di avere simultaneamente libertà di movimento dei capitali, un tasso di cambio stabile e una politica monetaria indipendente. Ma tutto questo come si applica ai problemi correnti?

I Paesi avanzati, Stati Uniti in testa, sono zavorrati dai contraccolpi della crisi finanziaria del 2008, e la conseguenza è che gli investimenti danno rendimenti bassi.
I mercati emergenti invece se la passano molto meglio, ed è lì che i capitali vogliono andare.

Il che pone un problema per i Paesi emergenti, che non gradiscono brusche impennate delle loro valute: il Brasile, ad esempio, non è per niente contento della cosa. Ma impedire un aumento del tasso di cambio significa produrre inflazione, e il Brasile non vuole rinunciare a esercitare una politica monetaria indipendente. Qual è la soluzione?

Tutte queste accuse di «teppismo» e guerre valutarie in pratica significano che chi le muove pretenderebbe di risolvere il trilemma imponendo all'America di rinunciare a esercitare una politica monetaria indipendente: la Federal Reserve in sostanza dovrebbe abbandonare i suoi tentativi di stabilizzare l'economia americana per sollevare i mercati emergenti dall'onere di dover scegliere tra una forte rivalutazione della moneta nazionale e un'inflazione importata, due ipotesi entrambe spiacevoli. Ma è qualcosa che non deve succedere e non succederà.

L'alternativa, come suggerisce l'analisi del trilemma, sono i controlli di capitale. La Cina già li usa, ma cominciano ad apparire un po' inefficaci. Il Brasile ha fatto degli sforzi in tal senso, ma evidentemente non sono stati sufficienti.

Tornando alla questione della politica monetaria, questa analisi ci dice che le scelte difficili che i mercati emergenti sono costretti a fare non sono il frutto di comportamenti clamorosamente scorretti da parte degli americani.

Sono le classiche alternative con cui ogni sistema valutario deve fare i conti, e non è compito della Fed risparmiare ad altri Paesi il fastidio di fare delle scelte.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

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