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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:14.

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Mi chiedono in tanti, per il mio andare per territori e microcosmi, valutazioni e previsioni sul leghismo e sul berlusconismo, sulla cosiddetta questione settentrionale e se il centrosinistra abbia iniziato il recupero del nord. Rispondo che, pur non essendo automatico, lo stare alla base della piramide spesso aiuta a capire quello che succede alla cima della stessa.
Stando sulla vibratilità del margine ed elencando le fibrillazioni dei mondi vitali in questi primi dieci anni del secolo qui al nord, più che altrove, molte cose sono cambiate. Chi l'avrebbe detto dieci anni fa che il Marchionne sarebbe volato negli Usa per poi tornare come un flusso finanziario a negoziare duramente il proprio atterraggio a Torino o a Pomigliano. Disarticolando forme di lotta consolidate dentro le mura della fabbrica, chiedendo referendum che hanno messo in crisi antiche consuetudini di relazioni industriali tra Confindustria e sindacato coinvolgendo tutto il territorio. E non è finita. Proposte finanziarie e piani industriali vanno tutti verificati. Così, mi dice un amico: Torino, nell'incertezza, ha scelto "l'usato sicuro" di Fassino. Poi si vedrà. La partita è appena iniziata. Anche a Milano tanti piccoli Marchionne tengono e hanno attraversato la crisi. Da una ricerca dell'Assolombrada su un campione di mille imprese risulta che la quota media delle esportazioni sul fatturato è del 36,4%. Hanno reti lunghe i piccoli, 28,4% di export per le imprese con solo 15 dipendenti, corrono le medie, 47,6% e le grandi 45%. Ma bastava sentire l'umore tra i seimila imprenditori riuniti a Bergamo all'assemblea di Confindustria per capire che, se una buona parte di loro sono euforici, molti sono in standby e parecchi in difficoltà. Il numero degli imprenditori cala soprattutto nella manifattura e nel piccolo commercio. Il 2010 ha significato la fine di un'epoca: quella caratterizzata dalla proliferazione del capitalismo molecolare. A chi mi chiede analisi politiche dico solo di ragionare sul fatto che si è fermata la forma espansiva e propulsiva del fare impresa artigiana e commerciale. Gli imprenditori del commercio erano 152mila nel 2002, sono 49mila nel 2010. Nella manifattura scendono da 148mila a 72mila. Non sarà un caso se, come ho scritto in un recente microcosmo, anche nel proliferante nord est è finita l'epoca dei capannoni industriali e commerciali ed è iniziata quella del riuso e della loro riprogettazione. Diminuiscono gli imprenditori e crescono i lavoratori autonomi che si assestano sui 3 milioni e mezzo. Crescono anche i liberi professionisti che sono 684mila, +19,5% nel decennio. Crescita forte soprattutto nel settore dei servizi alle imprese che raddoppiano da 125mila a 251mila. È la terziarizzazione disordinata, spesso povera e precaria, di una nuova generazione al lavoro nella retorica della classe creativa delle aree urbane metropolitane. Retorica perché c'è poca classe, essendo caratterizzata da deboli legami di senso ed è spesso creativa nel cercare di mettere assieme il reddito. Da qui lo scheggiarsi del diamante del lavoro nei lavori. Il manifatturiero perde nei dieci anni 250mila operai e assimilati. Aumenta il lavoro dipendente, molto a tempo determinato, nel terziario dei servizi e della manutenzione che passa da 9 milioni e 993mila addetti a 11 milioni e mezzo. Soprattutto in tre settori: i micro lavori del turismo, alberghi e ristorazione +299mila, la grande distribuzione +300mila, i servizi per l'impresa +630mila, istruzione e welfare privati o fai da te +573mila. I freddi numeri contati al fondo della piramide questo ci dicono. È avvenuta una mutazione antropologica profonda per gli imprenditori, passati dalla proliferazione di prossimità del capannone alla selezione della simultaneità che parte dal territorio e va a cercare un altrove ove competere. Si è affacciato un esercito di lavoratori dei servizi, di partite iva della conoscenza e della creatività con tanta arte e senza parte. Credo che nella sfida elettorale di Milano qualche segnale lo abbiano dato. Terziarizzazione a cui ha corrisposto una forte femminilizzazione del lavoro pari al 46,8%, anche se l'Italia rimane in fondo alle classifiche europee. Vi è una forte presenza femminile nei part time e nei contratti atipici. Il 76,5% dei contratti a tempo parziale è femminile. Appaiono tante donne acrobate tra professione, famiglia e cura. Anche qui mi pare si possa ricordare che le donne votano.
Anche se non votano, sono 213mila le imprese di immigrati censite a maggio 2010, +13% in un anno, ove si stima siano al lavoro più di mezzo milione di nuovi cittadini. E che dire di quei 600mila al lavoro nel produrre nuovo welfare privato, per chi può. Altro non segnalano che la grande incertezza data dalla coperta stretta del welfare state tirata e strappata da tutte le parti. Appaiono polarità sociali del tutto nuove, più visibili nelle aree metropolitane del nord del paese. Da leggere aggiungendo alle tradizionali categorie delle classi sociali, legate al reddito e al censo, perlomeno analisi che tengano conto anche del senso e del significato del lavoro, dell'importanza del genere e delle etnie. Parole che dall'analisi sociale stentano ad entrare nel lessico della politica. Se usate, spesso rimandano a temi sessisti, intolleranti e razzisti. Questa nebulosa del cambiamento già produce fibrillazioni significative. Sul terreno della rappresentanza: Confindustria e sindacato sono di fronte al flusso di Marchionne che arriva da Detroit, artigiani e commercianti, a fronte della fine della proliferazione, si mettono assieme in Rete Impresa Italia. Le cooperative bianche e rosse iniziano a dialogare per unificare imprese e rappresentanza, le partite iva e i lavoratori della conoscenza e della creatività chiedono visibilità e ruolo. Il tutto è visibile sul territorio. Dagli anni 90, con la profondità dei cicli lunghi, dalle aree pedemontane del contado Lombardoveneto, dal basso Piemonte e dalla Via Emilia, ove proliferavano i capannoni, era iniziato un vitalismo di territorio che aveva messo in secondo ordine la dimensione urbana. Oggi, le fenomenologie che ho appena tratteggiato precipitano e si coagulano nei territori delle città in mutamento, da Torino e Milano al quadrante Verona-Vicenza sino al PaTreVe (Padova Treviso Venezia) e a Bologna, città trattino tra Emilia e Romagna. Non resta che auspicare che la politica che verrà sappia tenere assieme la città terziaria che viene avanti e il contado manifatturiero che resiste, forme dei lavori della nuova composizione sociale urbana e territori della manifattura delle piattaforme produttive. Da questa sintesi operosa dei territori del nord tutto il paese ha da guadagnare.

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