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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2011 alle ore 08:15.

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ROMA
Un rischio che vale la posta in gioco, a maggior ragione al Sud. Il confronto comparato tra bilanci aziendali e propensione all'export rivela come il presidio dei mercati internazionali, pur richiedendo un maggiore sforzo di organizzazione e di reperimento di fonti finanziarie, ripaghi ampiamente in termini di redditività. Unioncamere ha riclassificato i bilanci delle società di capitale attive nel Mezzogiorno utilizzando il triennio 2006-2008, due anni (2006 e 2007) caratterizzati dall'espansione del commercio mondiale e un terzo in cui è iniziata la crisi finanziaria globale.
Nelle società manifatturiere meridionali che operano solo nel mercato domestico il Roe, l'indicatore di profittabilità che esprime il rendimento del capitale di rischio, è risultato negativo in due anni (-1,2% e -0,9%) e nell'altro appena positivo (0,4%). Tra le società che esportano, il Roe è risultato invece sempre positivo (2,8%, 5,3% e 1,85). Un analogo raffronto si può fare utilizzando il Roa, l'indicatore che rappresenta il rapporto tra i margini netti e il totale attivo tangibile. Tra le aziende esportatrici si è attestato tra il 3 e il 4%, mentre per chi è rimasto nei confini domestici si è fermato tra l'1,7% e il 2,5%, soprattutto per la maggiore quota di attivo immobilizzato tipica di aziende in cui è preminente la funzione produttiva.
In sostanza, annotano gli esperti di Unioncamere, il minore volume d'affari che in genere caratterizza le unità produttive che operano a livello domestico non si riflette tanto sulla gestione corrente, quindi sul Mol, che viaggia su livelli quasi analoghi tra i due raggruppamenti, ma sulla possibilità di remunerare adeguatamente il capitale investito o di accedere a risorse esterne. Un fattore chiave per la crescita del Mezzogiorno. «La nostra tesi – spiega Domenico Mauriello del Centro studi Unioncamere – è che le aziende meridionali debbano puntare con sempre maggiore insistenza sulle aggregazioni, anche utilizzando lo strumento delle reti, per sbarcare all'estero e beneficiare di riflesso di una migliore redditività». «Accrescere in modo adeguato gli investimenti – sottolinea Unioncamere – richiede per definizione l'apporto di fonti di finanziamento reperite al di fuori del perimetro aziendale, ed è un processo essenziale per implementare funzioni diverse dal puro "manufacturing" e sfuggire così alla pressione competitiva dei paesi di nuova industrializzazione».
La scala di attività
Il rapporto diretto tra propensione all'export e dimensioni aziendali del resto è testimoniato dai numeri. Lo stock di aziende meridionali che operano nei mercati esteri è rimasto all'incirca costante anche durante la crisi, attestandosi intorno a 5.700 unità, circa un terzo di quelle attive solo a livello nazionale (17mila). Il rapporto si inverte però considerando gli addetti impiegati: 200mila addetti nel gruppo di chi esporta, 160mila nell'altro. Nella classe con un fatturato inferiore ai due milioni è racchiuso quasi il 90% delle aziende che non esportano, percentuale che scende al 53% nell'altro caso. Il fatturato medio tra le aziende export-oriented è di 10 milioni, è quasi otto volte più basso per l'altra categoria.
Le province più dinamiche
L'export meridionale è cresciuto nel 2010 del 17,8%, quasi tre punti in più rispetto al Centro-Nord. Se si considera anche il fattore prodotti energetici, i cui impianti di trasformazione si trovano quasi esclusivamente al Sud, la crescita sale al 27%. Sotto il profilo merceologico la spinta maggiore è arrivata da beni intermedi (+22%) e bene strumentali (+20,5%), minore il contributo dei beni di consumo (+3,7% quelli durevoli, +10,8% i non durevoli); la Sicilia è la regione che ha messo a segno il balzo maggiore (+42%) ma anche Puglia (+19,6%) e Campania (+17,9%) hanno buone performance. Unioncamere ha messo in fila le province meridionali per quota espressa sull'export nazionale 2010 e settore di massima specializzazione. Napoli al primo posto con una quota comunque bassa, 1,44%, ma con un significativo incremento tra il 2006 e il 2010 (+9%). «La specializzazione nell'aerospaziale – spiega Mauriello – è stata determinante, a dimostrare comunque che anche nel bistrattato Sud esiste un nucleo di imprese dinamiche che riesce a fare da traino al commercio estero». La top ten delle province export oriented si completa con Chieti, Bari, Salerno, Taranto, Potenza, Teramo, Caserta, Brindisi, Avellino.
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