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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2011 alle ore 08:09.

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Il tasso medio di evasione stimato sull'intera popolazione si è attestato nel 2010 al 13,5 per cento del reddito dichiarato. La sintesi è contenuta nel ponderoso rapporto elaborato dal gruppo di lavoro insediato dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti in preparazione della riforma fiscale, guidato dal presidente dell'Istat Enrico Giovannini. Le novità si devono alla metodologia Zizza-Marino applicata al 2010.

Vengono confrontati in particolare, con diversi correttivi, i redditi contenuti nell'indagine campionaria sulle famiglie della Banca d'Italia, incrociati con i dati fiscali contenuti negli archivi della Sogei. Ne risulta che in media non sono stati dichiarati al fisco 2.093 euro a contribuente. È una media, ovviamente, e dunque non fotografa con assoluta fedeltà il tasso di reale evasione diviso per aree geografiche e singole categorie di contribuenti. Per questo occorre ricorrere a un calcolo più sofisticato, che tenga conto del «tax gap» effettivo, pari al 17,4% al Centro (2.936 euro), al 14,5% al Nord (2.532 euro) e al 7,9% al Sud (950 euro). Interessanti i risultati relativi a una sorta di identikit dell'evasore medio nel nostro paese.

Apprendiamo così che l'evasione maschile è pari al 17,3% contro il 9,9% di quella femminile. I contribuenti più giovani - si legge nel rapporto - mostrano «una maggiore propensione ad evadere, così come i residenti del centro Italia rispetto alle altre zone geografiche». Un dato che appare però in contraddizione con le stime ufficiali dell'economia sommersa, che concordemente collocano nel Mezzogiorno la quota di «shadow economy» più consistente. Differenza che si deve in parte ai due diversi aggregati, in parte alla maggiore incidenza nel Sud dei lavoratori impiegati nel settore pubblico e di pensionati.

Questi ultimi mostrano, come del resto era da attendersi, una propensione pressoché nulla ad evadere, mentre «i lavoratori autonomi, gli imprenditori e coloro che posseggono solo redditi da fabbricati risultano evadere maggiormente». Per i lavoratori autonomi il tasso di «non compliance», vale a dire di mancata adesione spontanea agli adempimenti tributari, è pari al 56,3%. L'identikit si completa con i lavoratori autonomi soggetti agli studi di settore, «che tendono a dichiarare all'amministrazione finanziaria fatturati appena superiori a quelli presunti e i detentori di soli redditi da fabbricati potrebbero presentare un elevato tasso di evasione dovuto ad una eventuale sovrastima delle rendite catastali». La «non compliance» è dell'83,7% per i possessori di immobili offerti in locazione, e del 44,6% per il lavoratore autonomo che può contare anche su un reddito da lavoro dipendente o da pensione. I giovani tendono a evadere più degli anziani. I dati mettono in luce un'evasione del 19,9% al di sotto dei 44 anni (in media 3.065 euro), che scende al 10,6% tra 44 e 64 anni (1.945 euro a testa), e al 2,7% per chi ha più di 64 anni (314 euro).

Occorre indagare anche sulla struttura delle nostre imposte. L'Iva, ad esempio, che è uno dei tributi più evasi: la differenziazione in tre aliquote (4%, 10% e 20%) può consentire al contribuente che abbia intento di evadere - rileva lo studio - di applicare un'aliquota ridotta a un bene che si trova in regime normale «ottenendo quindi un risparmio di imposta senza intaccare la dichiarazione della base». I risultati della lotta all'evasione sono riassunti in un capitolo a parte. Nel 2010 sono stati disposti 905.556 controlli formali, 9.559 verifiche e 705.580 accertamenti. Gli incassi complessivi ascrivibili al recupero dell'evasione sono stati pari a 10,5 miliardi nel 2010, contro i 4,2 del 2009. Nonostante la crisi economica - si osserva nel rapporto - si segnalano nel 2010 «significativi incassi». Il riscosso 2010 è stato per 6,6 miliardi frutto di versamenti diretti, per 4 miliardi di ruoli.

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