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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2011 alle ore 08:08.

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La quota di lavoro irregolare nel Mezzogiorno doppia, o poco ci manca, il dato complessivo da Roma in su. Non solo. Mentre al Centro come nel Nord d'Italia, nel periodo 2001-2009, si assiste a una tendenziale diminuzione del tasso di irregolarità, le regioni del meridione presentano livelli di irregolarità superiori alla media nazionale. Fa eccezione il solo Abruzzo.

Se poi si guarda ai settori produttivi in cima al podio del cosiddetto valore aggiunto sommerso c'è l'agricoltura con il 32,8% di quello totale del settore (9,1 miliardi di euro), seguita dal terziario al 20,9% (212,9 miliardi) e dall'industria con il 12,4% (52,8 miliardi).
È solo una parte dell'analisi sull'economia sommersa in Italia che emerge dallo studio conclusivo del presidente dell'Istat, Enrico Giovannini. Uno studio che vuole essere la sintesi del lavoro svolto dal tavolo tecnico per la riforma fiscale, cui il ministro dell'Economia e delle Finanze, Giulio Tremonti, ha affidato il compito di analizzare la cosiddetta «economia non osservata».

La prossima settimana il coordinatore del tavolo Giovannini e gli altri tre responsabili degli altri tavoli tecnici (Vieri Ceriani, Piero Giarda e Mauro Marè) incontreranno il ministro per tirare le fila del lavoro svolto con le parti sociali da ottobre fino ad oggi. Per quella data il presidente dell'Istat avrà chiuso definitivamente le oltre 130 pagine del rapporto, oggi ancora in bozza, da cui emerge chiaramente che l'economia sommersa in Italia vale da un minimo di 255 a un massimo di 275 miliardi di euro, pari rispettivamente al 16,3 e al 17,5% del Pil. Per il 37% l'economia sommersa è dovuta proprio dal lavoro non regolare. Infatti, una componente rilevante del sommerso economico è rappresentata dal valore aggiunto non dichiarato e alla cui produzione partecipano lavoratori non regolari che oggi in Italia sfiorano i 3 milioni di unità (si veda il servizio qui a fianco).

Per unità di lavoro regolari, spiega il rapporto, si intendono le prestazioni lavorative registrate e osservabili dalle istituzioni fiscali e contributive, nonché da quelle statistiche e amministrative. Mentre tra i non regolari rientrano le prestazioni lavorative che non rispettano le regole fiscali e contributive in vigore, quindi non osservabili. Sono escluse dalla stima - chiarisce ancora il rapporto Giovannini - tutte le diverse forme d'irregolarità parziale (il cosiddetto "lavoro grigio"): pagamenti ridotti dei contributi, retribuzioni fuori busta o ancora utilizzo irregolare di contratti di prestazione d'opera.

I dati sul sommerso, riferiti al 2008, rappresentano la base di partenza per tutte le elaborazioni successive e che si spingono a fornire nuove valutazioni sull'evasione fiscale (si veda il servizio nella pagina a fianco). Dalla lotta al sommerso e all'evasione fiscale - come ha sottolineato in settimana il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi e più volto rimarcato lo stesso Tremonti - potrebbero essere recuperate, almeno in parte, le risorse necessarie per la riforma fiscale.
Tra il 2000 e il 2008 il valore aggiunto prodotto nel sommerso ha seguito un andamento alterno: a un pesante incremento nel 2001, «che, nell'ipotesi massima, ha portato il peso del sommerso al 19,7% del Pil», è seguita una fase decrescente. La nuova inversione verso l'alto è giunta nel 2008: l'ipotesi massima è passata dal 17,2% nel 2007 (il valore più basso nel periodo 2000-2008) al 17,5%, tornando di fatto ai livelli del 2006.

Dallo studio emerge, poi, che una quota del 55,6% del sommerso (153 miliardi) è riferibile alla «correzione del fatturato e dei costi intermedi», mentre il 37,2% (102 miliardi), come detto, al lavoro non regolare. Ci sono poi 19,6 miliardi indicati sotto la voce «riconciliazione stime offerta e domanda».
Lo studio Giovannini, poi, cerca di fornire un dettaglio maggiore. Secondo gli ultimi dati disponibili riferiti al 2005 emerge che l'economia sommersa raggiunge il 56,8% nei servizi offerti da «alberghi e pubblici esercizi». A ruota i «servizi domestici» con un 52,9 per cento. L'istruzione, sanità e servizi sociali fanno registrare un valore aggiunto prodotto nell'area del sommerso del 36,8 per cento. Nel complesso l'industria in totale ha una quota di sommerso pari all'11,7%, agricoltura, silvicoltura e pesca tocca il 31,1% e l'intera area servizi supera il 21,7 per cento.

Nelle costruzioni, spiega ancora lo studio Giovannini, si annida la quota maggiore di economia in nero con il 28,4 per cento. Seguono «tessile, abbigliamento, pelli e calzature» con il 13,7%, «altri prodotti industriali» con l'11%, «alimentari, bevande e tabacco» con il 10,7 per cento.
Le differenti composizioni settoriali e dimensionale delle differenti attività economica incidono sono anche alla base delle enormi distanze nei tassi di irregolarità tra le differenti aree del Paese. Nell'agricoltura, ad esempio, quasi un quarto dell'occupazione è irregolare, con una variabilità territoriale limitata. Il Centro ha il tasso minore (21,8%), mentre la minore incidenza di irregolari si è registrata a Bolzano e in Toscana. Il Friuli-Venezia Giulia, al contrario, presenta i tassi di irregolarità in agricoltura superiori alla media nazionale. Più contenuto il tasso di irregolari nell'industria delle regioni centro-settentrionali (tassi al 3,4% al Centro e al 2,2% nel Nord-Ovest e 1,8% nel Nord-Est), mentre nel Mezzogiorno il lavoro nero va molto al di là della media nazionale, toccando il 14,2 per cento.
M. Mo.
D. Pes.

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