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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2011 alle ore 07:34.
di Dino Pesole
Un decreto da varare entro fine giugno che a regime vale oltre 40 miliardi, così da centrare nel 2014 l'obiettivo di un deficit «vicino al pareggio». Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, dopo il lungo vertice notturno di due sere fa con il premier Silvio Berlusconi, il leader della Lega Umberto Bossi e il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, ha messo a punto la sua «road map». Le cifre sono definite, e prevedono per l'anno in corso un intervento «di manutenzione» pari a 2,5 miliardi, per coprire alcune spese definite in termine tecnico 'esigenziali' (tra cui il rifinanziamento delle missioni militari). Nel 2012 l'asticella si ferma a quota 4-5miliardi (l'equivalente dell'intervento 2011 proiettato sull'intero anno).
La manovra triennale del 2010 - questo il ragionamento di Tremonti - assicura il raggiungimento dei target concordati con Bruxelles: deficit al 3,9% del Pil nel 2001 e al 2,7% nel 2012. Quel che occorre fare in più non sarà utilizzato a ulteriore abbattimento del deficit. Il grosso dell'intervento è previsto nel biennio successivo e prevede una manovra cumulata di 40 miliardi, ripartita in 20 miliardi nel 2013 (per ridurre il deficit all'1,5% del Pil) e ulteriori 20 miliardi nel 2014 (per centrare l'obiettivo del «close to balance»). Nel complesso, si tratta dunque di una manovra che dispiegherà i suoi effetti nell'intero quadriennio 2011-2014. Dal 2015, in linea con la nuova governance economica europea, si aprirà la partita del debito pubblico, tenendo peraltro conto degli altri «fattori rilevanti», tra cui l'indebitamento del settore privato e lo stato di salute del sistema bancario.
Quello che si va delineando - ha spiegato il ministro ai suoi interlocutori - è un percorso «complesso ma certamente non drammatico». Si agirà sulla spesa pubblica, e nel conto complessivo confluiranno anche i risparmi attesi dal passaggio dalla spesa storica ai costi standard nella sanità. Il relativo decreto legislativo attuativo del federalismo fiscale prevede che il nuovo criterio cominci a dispiegare i suoi effetti proprio nel 2013-2014. Si tratta di una cifra che oscilla tra i 4 e i 5 miliardi. Poi i tecnici dell'Economia stanno lavorando a un'azione di razionalizzazione a tutto campo dell'intero perimetro delle amministrazioni pubbliche. Si ragiona anche su possibili, nuovi interventi sul pubblico impiego. Per quel che riguarda la previdenza, l'ipotesi di estendere anche alle donne del settore privato l'allineamento graduale a 65 anni dell'età pensionabile (vale 6 miliardi) viene giudicata al momento improbabile.
Quanto alla delega fiscale, Berlusconi preme per un segnale immediato. Tremonti resta dell'idea che la riforma vada presentata in autunno, tra settembre e novembre, quando Bruxelles e soprattutto i mercati avranno percepito a pieno il segnale di rigore lanciato con la manovra quadriennale. Al momento non sembrano sussistere margini per l''anticipo' di alcune delle misure in cantiere già prima della pausa estiva, o addirittura per il varo dell'intera delega contestualmente con la manovra (la partita tuttavia è aperta). Le ipotesi al vaglio sono molteplici.
Una delle simulazioni vede il taglio di tre punti dell'aliquota Irpef del 23%, finanziata con l'aumento di un punto dell'aliquota ordinaria dell'Iva (ora al 20%) e di quella agevolata (ora al 10%) e dall'allineamento al 20% del prelievo sulle rendite finanziarie. Manovra da ponderare con attenzione per i possibili effetti sui consumi e sull'inflazione.
Nel vertice con Berlusconi e Bossi si è parlato dell'eventuale trasferimento al nord degli uffici di rappresentanza di alcuni ministeri, ma Tremonti ha insistito soprattutto su un punto: la riforma fiscale è fondamentale, ma la partita va giocata con grande prudenza. Il rigore nei conti pubblici è obbligato: non si può certo rischiare che i mercati avvertano che si è in presenza di un allentamento nella disciplina di bilancio. Con il nostro debito pubblico un eventuale, malaugurato aumento dei tassi farebbe lievitare la spesa per interessi. E allora, quel che si risparmierebbe in termini di minori imposte lo si sconterebbe abbondantemente con una inevitabile stretta per riportare i conti in linea con le previsioni. Alla fine il costo sarebbe pesante, vanificando gli effetti dell'alleggerimento fiscale. La riduzione delle tasse - conferma il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri - «è un obiettivo futuro che verrà affrontato nell'ambito degli impegni europei».
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