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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2011 alle ore 09:31.

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Chi li ha visti? I giovani italiani sembrano tenersi a distanza, almeno per ora, dai fermenti rivoluzionari che stanno animando i loro coetanei su entrambe le sponde del Mediterraneo. Ma la mitezza e l'iper-individualismo dei nostri ragazzi non possono più essere - per la politica italiana - l'alibi di ferro che giustifica l'inazione e il sostanziale disinteresse. Perché le più recenti indagini sul sentiment dei giovani italiani dimostrano che la carenza di opportunità e il blocco dell'ascensore sociale stanno provocando nelle generazioni 80 e 90 il dilagare d'un pericoloso (e in parte inedito) sentimento di rassegnazione, sia nei confronti della propria condizione individuale di outsider che delle speranze di cambiamento del sistema-Paese.

L'Italia della crescita-lumaca non può permettersi di soffocare la spinta vitale dei suoi giovani e, in questo modo, di bruciare grandi quote di sviluppo potenziale del Paese. Oggi più che mai è urgente un piano straordinario per i giovani italiani, che metta in campo misure immediatamente efficaci per recuperare quindici anni di opportunità perdute. Ma la leva decisiva da attivare non è - come comunemente si crede - quella della redistribuzione dei diritti sul mercato del lavoro tra insider e outsider. Proposte affascinanti (almeno sul piano intellettuale) e ricche di proseliti come il 'contratto unico' sarebbero molto complesse da tradurre in legge nel Parlamento attuale, ma soprattutto ridurrebbero la flessibilità del mercato del lavoro senza colpire il vero 'nemico' dei giovani in cerca di posto fisso: l'eccessiva convenienza economica dei contratti flessibili rispetto a quelli a tempo indeterminato. Perché alle imprese italiane, oggi, non conviene assumere.

La crisi di futuro dei nostri ragazzi si nasconde, infatti, dietro un numero pressoché dimenticato dal dibattito pubblico. Oggi, in Italia, solo il 22 per cento dei ragazzi con contratti precari ottengono nel corso dell'anno successivo un lavoro a tempo indeterminato: nel nostro Paese il tasso di trasformazione dei contratti temporanei in assunzioni è molto più basso che nel resto dell'Europa avanzata.

È il terreno fiscale, dunque, e non quello dei diritti il grande campo di battaglia delle disparità generazionali. C'è un'unica strada per evitare di bruciare i nostri ragazzi nel rogo del precariato a vita: abbattere il cuneo fiscale e contributivo che grava sul lavoro a tempo indeterminato, come hanno fatto negli ultimi anni gli altri Paesi dell'Unione europea, a vantaggio dei più giovani. E nell'era della 'coperta corta' del bilancio pubblico, occorrono soluzioni politicamente coraggiose e tecnicamente innovative. Per esempio, si potrebbe cambiare radicalmente la destinazione dei 4 miliardi di euro di incentivi discrezionali che ogni anno vengono erogati alle imprese. Sono incentivi che gli stessi imprenditori e le loro organizzazioni di rappresentanza giudicano inutili. Se fossero impegnate per incentivare l'occupazione stabile degli under 35 - alleggerendo il peso fiscale e contributivo delle loro assunzioni nei primi cinque anni - queste risorse potrebbero generare centinaia di migliaia di nuove assunzioni. Cambiando il destino di almeno due generazioni, prima che decidano di seguire la strada dei coetanei 'ribelli' di Madrid.
fdelzio@luiss.it

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