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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2011 alle ore 08:15.

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Il complicato risiko delle frequenze ha anche un piano tecnico sul quale andranno calibrati gli investimenti degli operatori. Dopo la prima consultazione pubblica, l'Autorità aveva tenuto conto degli emendamenti proposti dagli operatori in merito agli obblighi di copertura del territorio. E infatti oggi non ci sono impegni di copertura per gli aggiudicatari delle frequenze a 2.000 e 1.800 Mhz (liberate dal ministero della difesa, insieme ai 2.600 Mhz).

Meno vincoli anche per la banda più pregiata a 800 Mhz, che sarà possibile aggiudicarsi sempre in blocchi che vanno da 5 a 25 Mhz, seguendo questo schema: per ogni blocco da 5 Mhz i gestori telefonici dovranno coprire un elenco di comuni fino a 3mila abitanti (circa 700 comuni a elenco, su un totale di almeno 3.500), tenendo conto che per il primo blocco da 5 Mhz non è previsto nessun obbligo. Parlando invece di popolazione, per ciascun elenco gli aggiudicatari degli 800 Mhz dovranno coprire il 30% dei comuni entro tre anni e il 75% entro cinque anni (e saranno gli operatori a scegliere quali comuni). Gli operatori dominanti potranno aggiudicarsi fino a un massimo di tre blocchi di frequenze, i nuovi operatori entranti (forse Poste Mobile) fino a cinque. Infine i 2.600 Mhz: qui gli obblighi di copertura dovrebbero attestarsi al 20% della popolazione nazionale in due anni (prima si parlava del 30%) e del 40% della popolazione in quattro anni (prima era al 50 per cento).

Ma l'altra partita "calda" delle tlc è quella dell'Ngn, la rete di nuova generazione le cui regole sono appena state licenziate dall'Agcom. Il punto più contestato dagli operatori alternativi è stato lo "stralcio" dell'unbundling della fibra, cioè dell'affitto dell'ultimo miglio della rete così come avviene per il rame, il servizio che in questi anni è stato alla base della liberalizzazione del settore.
Il primo impianto di regole sulle reti di nuova generazione era stato messo a punto dall'Authority in gennaio e prevedeva che, fino al 2013, Telecom offrisse agli operatori alternativi un servizio di interconnessione di traffico all'ingrosso (bitstream) e solo in seguito, cioè dopo il 2013, un vero e proprio unbundling della fibra. Ipotesi, quest'ultima, che aveva molto allarmato l'ex monopolista, preoccupato di dover "sposare" un'architettura di rete punto-punto eccessivamente costosa e non coerente con quella multi-punto (Gpon) adottata per i suoi network.

La proposta dell'Autorità si basa quindi su due pilastri. Il primo è l'obbligo per Telecom di mettere a disposizione un prodotto attivo bitstream di seconda generazione, in condizioni di piena replicabilità, che lascerebbe liberi i concorrenti di scegliere la configurazione delle offerte senza obbligarli a investimenti infrastrutturali. E poi il secondo pilastro: consentire agli Olo di chiedere un unbundling più modulabile, che Telecom dovrà offrire mettendo a disposizione la fibra spenta e tutto ciò che serve per un accesso end-to-end. Sui prezzi dell'unbundling, poi, gli Olo hanno già detto la loro: il riferimento dovrà essere la tariffazione del rame. Un punto sul quale si giocherà la prossima battaglia con Telecom Italia.

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