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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2011 alle ore 08:15.

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A volte capita che un parlamentare della maggioranza debba intervenire proponendo un correttivo ad un testo del Governo. Il Decreto Sviluppo, che si propone di avviare una stagione di crescita economica, contiene una serie di norme del tutto condivisibili su ricerca e sviluppo, innovazione e detrazioni fiscali tese ad incoraggiare nuove iniziative di impresa a Sud come a Nord e il problema dei problemi, l'occupazione giovanile, destinando a questo voci quel che si può trovare nelle pieghe del bilancio.

Tutto bene? No, perché tra le tante norme ve ne è una, inserita all' art. 8, comma 10, che sostituisce l'art. 239 del Codice della proprietà industriale, eliminando dalla precedente formulazione il riferimento alle opere che "erano" di pubblico dominio, in quanto mai registrate come disegni e modelli prima del 19 aprile 2001 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 95/2001, di recepimento della Direttiva design n. 98/71/CE). Si è scritto che tale nuova norma ha l'obiettivo di circoscrivere la tutela prevista dalla legge sul diritto d'autore alle sole opere del disegno industriale "divenute" di pubblico dominio prima di quella data a seguito della cessazione degli effetti della registrazione, negando così qualsiasi tutela alle molte opere del design italiano che non erano mai state registrate come disegni o modelli.

Tale norma se approvata definitivamente, priverebbe di ogni protezione molte opere del design industriale italiano che sono divenute negli anni una bandiera della nostra creatività e del Made in Italy. E poi, cos'è il Made in Italy? Per me è quanto intendiamo parlando di produzione italiana di eccellenza. E gli elementi che lo compongono sono quelli che ci hanno fatto conoscere nel mondo: creatività, innovazione, gusto, legame con il territorio e con la tradizione culturale ed artistica italiana, originalità dell'approccio imprenditoriale. Tutto questo merita tutela. Spesso dimentichiamo che dietro ogni opera del design italiano vi è una lunga e costosa opera di ricerca, di capacità inventiva, di investimenti che possono essere affrontati solo se vi è la certezza di una protezione nazionale ed internazionale dell'opera originale, della creatività e del gusto italiano. Se queste certezze vengono meno, è chiaro che si produce un grave danno alle tante imprese italiane che hanno fatto della innovazione e del design il tratto distintivo e la ragione di vita.

La nuova formulazione presenta altresì profili di incostituzionalità (per violazione dei principi di uguaglianza, parità di trattamento e legittimo affidamento) e di incompatibilità rispetto sia alle direttive comunitarie sul copyright, che alla Convenzione di Berna del 1886 per la protezione delle opere letterarie e artistiche, ratificata dall'Italia con legge n. 399/1978. Tali atti escludono, infatti, che il diritto d'autore possa essere subordinato a qualsiasi formalità di registrazione.
È quindi necessario, anche per evitare di incorrere in una nuova procedura di infrazione comunitaria, sopprimere dal Decreto sviluppo in questi giorni in discussione l'art. 8, comma 10, per ripristinare la precedente formulazione dell'art. 239 CPI. Ed è quanto mi auguro che il Parlamento voglia fare al di là degli schieramenti. L'economia italiana non ha altra scelta che puntare su un modello di sviluppo che punti alla qualità ed all'innovazione. Lasciamo ad altri la produzione di massa, di basso livello, di mera copia di modelli altrui. A ciascuno il suo: all'Italia resti il primato della creatività, dell'innovazione e del gusto.

Presidente della Fondazione Altagamma e deputato Pdl di Santo Versace

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