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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2011 alle ore 09:36.

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Possono sperare di farla franca almeno per altri 12 anni i furbetti del condono a rate e dei «ruoli rottamati». A otto anni di distanza dai maxi condoni della Finanziaria 2003, lo Stato deve ancora incassare 4,2 miliardi da quanti hanno rateizzato l'importo spesso fermandosi alla prima rata. Una perdita secca (al momento) per l'erario e una beffa doppia per i contribuenti onesti, quelli che non avevano niente da condonare e che hanno pagato per intero le tasse, ma che adesso non possono neppure contare su risorse pubbliche magari utili a ridurre i tagli in arrivo. Quei 4,2 miliardi, infatti, valgono potenzialmente il 10% della maxi manovra di contenimento dei conti pubblici imposta dalla Ue.

Arrivano dalla Corte dei conti gli ultimissimi dati del parziale flop del recupero delle rate del condono ex legge 289 del 2002. Un rapporto puntiglioso, inviato a buona memoria al Parlamento e finito in bella vista sui tavoli governativi. Anche se con un «dato incontestabile di partenza: il buon esito quantitativo del condono in questione», ammettono (ma non giustificano) i magistrati contabili ricordando i 26 miliardi di incasso previsto, i 20,8 riscossi e, appunto, il gettito ancora da colmare rispetto ai condoni varati tra mille polemiche dall'allora secondo gabinetto di Silvio Berlusconi.

La nuova relazione della Corte dei conti, che segue quella svolta nel 2008, fa il punto della situazione al 31 dicembre del 2010. Rispetto a un carico lordo iniziale da riscuotere di 6,3 miliardi erano stati disposti sgravi per 1,19 miliardi, con un carico netto da riscuotere di 5,117 miliardi. Su questa somma alla fine dell'anno scorso risultavano riscossi 910 milioni di euro, con somme ancora in sospeso pari a 4,207 miliardi. Fatto sta che, rileva la Corte dei conti, nel 2010 la «capacità di riscossione» non ha rispettato le attese: l'aumento è stato appena dello 0,2-0,3% al mese. Col risultato ‐ è l'amara considerazione della magistratura contabile ‐ che anche se procedesse «a ritmi elevati», la proiezione nel tempo della riscossione di queste somme «pone un orizzonte (teorico) di circa 12 anni». Tempi «inaccettabilmente lunghi», si sottolinea, considerato che «la letteratura» sui condoni individua proprio nell'accelerazione del gettito nel breve periodo una delle prime «giustificazioni» dell'adozione dei condoni stessi, grazie alla speranza di far emergere durevolmente base fiscale imponibile.

Naturalmente la Corte dei conti cerca di esplorare le cause di un risultato al di sotto delle aspettative. La vetustà e dunque l'inesigibilità dei ruoli della riscossione di quel condono, le procedure lunghe e complesse. Ma la vera nota dolente è stata la possibilità di rateizzare le somme da condonare e di concedere che, versando la prima rata insieme alla presentazione della dichiarazione integrativa, la controversia risultasse estinta e il condono diventasse efficace anche sotto il profilo penale, dei reati tributari e non tributari connessi dei quali il contribuente non avesse avuto ancora formale conoscenza dell'esercizio dell'azione penale, anche in caso di mancato pagamento delle rate successive alla prima. Un meccanismo che ha portato alla sospensione e ad un lungo rinvio delle procedure di riscossione coattiva delle somme non pagate, nel quale si sono infilati «contribuenti debitori» che hanno potuto organizzare «il proprio assetto patrimoniale in modo da rendersi incapienti rispetto alla futura azione esecutiva dell'erario». Morale della favola, intanto, sono quei 4,2 miliardi che mancano all'appello.

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