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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2011 alle ore 07:53.

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ROMA - Il Centro studi di Confindustria rivede al ribasso la stima di crescita per il 2011 allo 0,9% (dall'1,1% indicato a dicembre) e, attraverso le proprie stime, rende esplicita un'informazione contenuta anche nel Def: senza riforme strutturali, nel 2012 il Pil accuserebbe un'ulteriore frenata, portandosi a +0,6% rispetto alla stima normale dell'1,1%; a quel punto, accanto alla manovra che oggi è complessivamente cifrata in 39 miliardi servirebbe un intervento di un'ulteriore un per cento di Pil, vale a dire un altro giro di vite da 18 miliardi.

«L'Italia ha di fronte un falso dilemma fra crescita e risanamento» si spiega nel rapporto: perché se abbattere il debito e il deficit è indispensabile perché altrimenti «verrebbero subito a mancare sia le risorse per pareggiare il bilancio sia il consenso sociale all'azione governativa».

Per coniugare, quindi, un incremento del Pil solo di poco superiore all'1% – dice il direttore del CsC, Luca Paolazzi – e il totale rispetto degli impegni assunti in sede europea sui conti pubblici, «sono indispensabili subito riforme capaci di rafforzare la fiducia di famiglie e imprese e innalzare le rispettive propensioni a consumare e investire». Quelli che Confindustria chiama i "campi da dissodare" sono: semplificazione e sburocratizzazione, accelerazione delle realizzazione di opere pubbliche, liberalizzazioni e apertura del mercato in molti servizi, formazione, efficienza della pubblica amministrazione, contrasto all'evasione, riforma fiscale che allevi il carico sui redditi da lavoro e impresa e lo sposti su altri guadagni e consumi.

Le previsioni del CsC confidano nell'efficacia della manovra del governo e cifrano il deficit pubblico del 2012 al 2,8%, mentre il debito salirebbe al 120,1% quest'anno e si bloccherebbe al 119,8% l'anno prossimo.Tornando alla gracile ripresa, il ritardo accumulato in rapporto ai nostri "vicini di casa" ha già assunto in pochi trimestri dimensioni consistenti: 4,4% di Pil in meno rispetto alla Germania e meno 2,8% contro la Francia. Ma «se l'economia italiana si fosse rialzata con uno scatto alla tedesca, il suo Pil sarebbe ora di 69 miliardi più elevato, cioè 1.138 euro all'anno in più per ogni abitante».

A spiegare il ritmo stentato della crescita contribuiscono anche le prospettive dell'occupazione che incidono sulle attese delle famiglie. Sul mercato del lavoro dal primo trimestre 2008 ai primi tre mesi del 2011 la perdita dei posti di lavoro ha riguardato 582mila persone; ma se si ragiona in termini di unità di lavoro (Ula) l'assorbimento di unità di lavoro nello stesso periodo si è ridotto di 1,1 milioni di unità. E le prospettive del mercato del lavoro non sono buone perché nel 2012 il clup tornerà a salire (+0,6% quest'anno e +1,2% l'anno prossimo).

Il rapporto presentato ieri contiene anche una stima dei maggiori oneri derivanti a famiglie e imprese da rincaro del petrolio e rialzo dei tassi : ogni famiglia spenderà in media 681 euro in più per l'energia e i nuclei familiari che hanno il mutuo a tassi variabili pagheranno 2,2 miliardi in più di maggiori oneri passivi. Infine, c'è un'analisi su quali sono i risparmi di spesa pubblica che comportano un minore effetto depressivo sul Pil, dalla quel risulta che a parità di condizioni un taglio dello 0,5% di Pil applicato sulle retribuzioni unitarie della Pa (aumentate dal 2000 a oggi del 13,7% a fronte del +4% del settore privato) sarebbe meno doloroso, anche in termini di Pil perduto, di un taglio della stessa entità ottenuto con una riduzione dell'occupazione della Pa.

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