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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2011 alle ore 15:08.

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Entrambi i ragionamenti filano. È però doveroso notare come gli stati che hanno ristrutturato il proprio debito non si sono trovati male: invece di essere esclusi dai mercati, in linea generale hanno rapidamente riguadagnato fiducia. Gli investitori preferiscono un peccatore che torna ad essere solvibile a un virtuoso che sta per morire soffocato. Vent’anni fa la Polonia, che aveva negoziato una riduzione del debito, ne è uscita di gran lunga meglio dell’Ungheria, che aveva a cuore la propria reputazione. La riduzione del debito non è disastrosa.

La terza domanda considera l’eventualità di un disastro finanziario associato a un default greco – e ci si chiede quando avverrà. Sono state intraprese due strade, una interna e una esterna. A livello interno, i bond governativi sono gli asset di riferimento per banche e assicurazioni, perché facilmente vendibili e in grado di garantire liquidità. Qualsiasi dubbio sul valore di tali bond potrebbe causare un parapiglia generale. Ad essere colpiti severamente sarebbero la solvibilità e l’accesso a nuovi finanziamenti da parte del sistema bancario greco.

A livello esterno l’onere spetta ad altre banche europee. Fatto ancora più importante, altri paesi in difficoltà – come Irlanda, Portogallo e Spagna – sarebbero vulnerabili al contagio finanziario.

Si tratta in ogni caso di una situazione terribile. Non si spiega perciò l’atteggiamento della Banca centrale europea. La Bce ha diversi ragioni per essere preoccupata, ma al posto di cercare una soluzione per attenuare il possibile impatto di un tale shock, esclude a priori ogni tipo di ristrutturazione. Sta infatti palesandosi lo spettro di una reazione a catena simile a quella verificatasi all’indomani del fallimento della Lehman Brothers nel 2008, che punirebbe oltremodo qualsiasi forma di ristrutturazione e toglierebbe alle banche la possibilità di recuperare facilmente liquidità.

Se la Grecia è insolvente, tocca all’Ue farsi carico dei suoi debiti, altrimenti il rischio di insolvenza incomberà su di essa come una spada di Damocle. Rifiutando una ristrutturazione pianificata e sistematica, l’Eurozona si sta esponendo al rischio di un pesante default.

L’Europa non è comunque obbligata a scegliere tra catastrofe e mutualizzazione del debito. Il percorso migliore – per quanto esiguo – sarebbe quello di rafforzare il programma di finanziamento per la Grecia, che non è in grado di finanziarsi sul mercato, e di garantire al tempo stesso, esercitando la cosiddetta moral suasion o persuasione morale, che i creditori privati non si tirino indietro con troppa facilità.

Al momento questa è la soluzione auspicata. Questo periodo di tregua deve però essere sfruttato nel migliore dei modi non solo per prendere tempo. Dovrebbe essere utilizzato, innanzitutto, per consentire agli altri paesi in difficoltà di riguadagnare o consolidare la propria credibilità finanziaria e, in secondo luogo, per spianare la strada a una ristrutturazione sistematica del debito greco, che richiede un grande impegno. Guadagnare tempo ha senso solamente se serve a risolvere il problema e non a prolungare l’agonia.

Jean Pisani-Ferry è direttore di Bruegel, un think tank economico internazionale, professore di economia all’Université Paris-Dauphine e membro del Consiglio di analisi economica del Primo ministro francese.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgPodcast di questo articolo in inglese:Traduzione di Simona Polverino

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