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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2011 alle ore 07:54.

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Il funzionamento della giustizia civile è un «elemento fondamentale di competitività» per ogni Paese: su questo sono tutti d'accordo, magistrati, governo, opposizione, imprenditori, economisti. Ma sul perché l'Italia non goda di questo vantaggio e su come recuperare il terreno perso, le analisi ancora divergono e la condivisione di ruoli e strumenti che prelude alle vere riforme, non sembra ancora a portata di mano. «Il peso del disservizio – ha ricordato il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia – è avvertito dalle imprese italiane e anche dalle multinazionali che mettono ai primi posti un indicatore come questo» per decidere i loro investimenti.

I punti più critici del sistema giudiziario, che rallentano un'Italia già in ritardo sulla ripresa mondiale, li ha elencati il direttore del Csc, Luca Paolazzi, dalla geografia ormai obsoleta dei tribunali e la loro insufficiente informatizzazione, dalla scarsa specializzazione dei giudici, alla litigiosità (senza paragoni in Europa) alimentata dal cattivo funzionamento della Pa, dal numero degli avvocati, dalle impugnazioni senza freni fino in Cassazione anche per contenziosi di pochi euro.

Nessuno, ieri, in Viale dell'Astronomia, ha parlato di pigrizie togate o di maggior spesa pubblica. Non lo hanno fatto gli imprenditori e tanto meno il ministro Angelino Alfano: il che ha permesso al dibattito di restare (sufficientemente) alla larga dalle usuali polemiche e di focalizzare alcuni temi concreti della giurisdizione civile.

Il "mostro" che ci tiene inchiodati a livelli bassissimi, si chiama "arretrato", una massa sterminata di quasi 6 milioni di fascicoli alimentata ogni anno da 4,8 milioni di nuove liti, che i giudici riescono a definire al ritmo di 4,6 milioni/anno. Ma è un arretrato che uffici, Csm e ministero hanno lasciato accumulare per decenni senza nemmeno conoscerlo ed etichettarlo: sono cause vecchie di 5, 10 o 20 anni? Sono semplici o complicate? Sono seriali oppure no?

Solo pochissimi uffici hanno affrontato il proprio "mostro" e comunque faticano a domarlo per scarsità di risorse, personale, organizzazione. Tra questi c'è Milano, pioniere del processo civile telematico e dei progetti di innovazione in sinergia con avvocati, enti locali, università. Per questo uno dei suoi dirigenti, Claudio Castelli, può spiegare che «se anche cessassero di affluire nuove cause, lo smaltimento dell'arretrato a oggi richiederebbe 8 mesi ai Giudici di pace, 16 mesi ai tribunali e 32 mesi alle corti d'appello. Tempi che non possiamo permetterci». Le critiche del magistrato alla gestione del pianeta giustizia si appuntano, in particolare, sui livelli reali della digitalizzazione e sul crollo dell'organico (per numero ed età) del personale amministrativo. Infine, la richiesta di passare a un sistema di assegnazione di budget agli uffici, lasciando loro la libertà di integrarlo con iniziative locali.

Il ministro Angelino Alfano non ha replicato ad alcun rilievo (nemmeno a quelle, più politiche, dell'onorevole Pd Donatella Ferranti) preferendo illustrare quanto è stato fatto dal Governo sul tema. «Abbiamo agito sul versante della domanda – ha detto – introducendo il contributo unificato per accedere al giudice di pace e il tentativo obbligatorio di mediazione civile. Senza dimenticare che abbiamo ridotto da 33 a 3 i riti civili, dando anche una spinta forte alla digitalizzazione». Evidentemente non basta ancora, mentre resta forte l'impressione che le esigenze delle imprese non abbiano ancora trovato interlocutori in grado di dare risposte rapide ed efficaci.

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