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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2011 alle ore 06:42.

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Tre miliardi di euro di fatturato, oltre 16 mila imprese attive, un'occupazione complessiva che sfiora i 34 mila addetti. Il settore della consulenza aziendale nel nostro Paese gode di discreta salute, e le cifre raccolte dall'Osservatorio di Assoconsult sul mercato della consulenze lo confermano. Ma i numeri che l'associazione nazionale delle imprese di settore ha elaborato e presentato ieri a Roma durante la seconda edizione degli Stati Generali del Management Consulting, all'Auditorium della Tecnica di Confindustria, raccontano anche qualcos'altro, che per gli analisti è quantomeno un campanello d'allarme. Raccontano cioè che il contributo delle società di consulenza al Prodotto Interno Lordo del Paese è dello 0,20% (l'ultima piazza nella classifica delle nazioni più ricche d'Europa), che è dello 0,15% quello all'occupazione, che il livello di produttività delle aziende, stabilito dalla divisione tra il fatturato e il numero di impiegati, è inferiore ai 112 mila euro contro una media europea che sfiora i 180 mila. E che la maggior parte delle realtà che operano nel mercato nazionale è costituita da piccole e piccolissime imprese che hanno meno di tre dipendenti e non riescono (o non vogliono) crescere e confrontarsi con clienti diversi rispetto a quelli a cui sono tradizionalmente legati.
Un mercato frammentato, insomma, con una dimensione modesta, un target di riferimento ben definito e stabile, ma che nonostante il periodo di crisi economica è riuscito a mantenere sostanzialmente invariato il proprio fatturato (qualche problema lo hanno avuto solo le imprese di grandi dimensioni), i livelli occupazionali e che ha buone prospettive di crescita per i prossimi anni. Luci e ombre, insomma, di cui ieri si è discusso cercando di dare una risposta ad alcune domande centrali per la vitalità del settore: perché il management consulting in Italia è così sottodimensionato rispetto agli altri principali Paesi europei? Qual è il ruolo delle microimprese di consulenza, e come è possibile trovare dei percorsi di rafforzamento per queste aziende? Come si può avvicinare la pubblica amministrazione alle società di consulenza, e quali sono - nel complesso - le prospettive per il futuro? «I dati che emergono dall'Osservatorio fotografano una sostanziale tenuta dei volumi di mercato, con una stagnazione nel 2010 (-1%) e una ripresa consistente nel 2011 (+9%) che riporta i valori complessivi al livello pre crisi» ha spiegato nella relazione introduttiva Ezio Lattanzio, che di Assoconsult è presidente. Ma ciò che è più significativo, ha proseguito, è che il mercato oggi è polarizzato tra «imprese winner, con ricavi in crescita nell'ultimo biennio, pari a circa il 50% degli operatori, e imprese looser, intorno al 25% del totale» che continuano a perdere.
Una dicotomia che si può leggere anche attraverso l'analisi dei numeri del comparto. Nel nostro Paese - è spiegato nel rapporto dell'Osservatorio - le aziende del settore della consulenza sono piccole e piccolissime, dai nove addetti in giù e con una media di otto. Delle oltre 16mila presenti, solo 35 (lo 0,2% del totale) hanno più di cinquanta dipendenti, 413 ne hanno tra i 10 e i 49 mentre le restanti 15.956 (97,3%) ne hanno meno di dieci. Queste ultime impiegano 20.735 addetti, pari al 61,3 per cento del totale, le medie società danno lavoro a 5.388 professional e le 35 "grandi", quasi tutte società multinazionali, hanno 7.721 addetti, il restante 22,8%. Professionisti che garantiscono alle società per le quali lavorano fatturati annui complessivi di poco superiori ai tre miliardi di euro, e che rappresentano appunto lo 0,2% del Pil nazionale. Percentuali che se confrontate con quelle del resto d'Europa dimostrano ancora una volta il sottodimensionamento del nostro settore del management consulting: in Germania il fatturato supera abbondantemente i 17 miliardi di euro (0,74% del prodotto interno lordo), in Inghilterra i 9 miliardi (0,61%), in Francia i sei (0,32%). Fanalino di coda di questa classifica la Spagna e appunto l'Italia. «Le piccole dimensioni delle aziende italiane per anni sono state considerate un vantaggio competitivo: oggi sappiamo che sono un vincolo - ha detto ancora Lattanzi nel sottolineare il gap che ci separa dal resto d'Europa - un limite che non permette di assicurare livelli accettabili di competitività». Un trend che non lascia indenni nemmeno le imprese di consulenza: «È urgente avviare un'accelerazione verso processi di aggregazione, verso la creazione di imprese più grandi, organizzate, patrimonializzate e quindi più forti». Partendo proprio dalle piccole, comunque, che sono quelle che meno di tutte hanno risentito della crisi e hanno le migliori prospettive di crescita: secondo le stime, saranno le società di consulenza con meno di dieci dipendenti che alla fine di quest'anno avranno fatto registrare le migliori performance: +13,6%.
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